Da alcuni giorni, le bacheche dei nostri profili social sono invase da notizie di personaggi pubblici e “amici” che dichiarano – con tanto di screenshot dimostrativo – di aver abbandonato la piattaforma X (ex Twitter). Questa nuova forma di boicottaggio, che possiamo definire come self-deplatforming, tuttavia, appare discutibile sotto diversi punti di vista.

Intanto si tratta di un allontanamento volontario da un ambiente percepito come “tossico”, da parte di chi, teoricamente, si professa promotore del dibattito e del confronto aperto. Quanto è coerente voler mantenere il dibattito aperto, ma solo se i gestori della piattaforma condividono le nostre idee? Quanto è (il)liberale pensare che le Big Tech vanno bene se bannano Trump e non meritano neanche la nostra presenza se una di loro si schiera con lui? Sia chiaro, è comprensibile – anzi normalissimo – che molti non si sentano a proprio agio in un ambiente che percepiscono come politicamente ostile. Ma la scelta di chiudersi fuori da X sembra una rinuncia all’opportunità di difendere le proprie idee in uno spazio che potrebbe favorire il confronto, per quanto sempre più “caldo” e polarizzato. Rifiutare questa arena non potrebbe essere interpretato come una forma di “esilio” autoimposto che va contro la stessa idea di pluralismo?

Come è noto, una delle critiche più comuni ai social network è che spesso finiscono per diventare “camere dell’eco”, spazi in cui gli utenti interagiscono quasi esclusivamente con persone che condividono le stesse opinioni, evitando il confronto con voci discordanti. La fuga dei liberal – chiamiamoli così – da X sembra però alimentare ulteriormente questo fenomeno. Cancellando i loro profili, scelgono di non confrontarsi con opinioni contrarie e di rinunciare al dialogo con una parte di pubblico che, in fin dei conti, potrebbe essere quella che più avrebbe bisogno di ascoltare la loro voce.

C’è un secondo aspetto interessante in questo fenomeno: molti utenti che decidono di cancellarsi non lo fanno in silenzio. Come detto in apertura, di solito pubblicano gli screenshot del proprio addio su tutte le piattaforme. E qui c’è un altro paradosso. In molti accusano Trump di essere un leader narcisista e totalmente egoriferito, con un continuo bisogno di attenzione su di sé. Beh…l’impellenza di comunicare al nostro microcosmo che ci siamo autoesclusi da una piattaforma sembra riflettere lo stesso bisogno, cadendo nello stesso meccanismo. Questa autocelebrazione del proprio “addio” è un atto simbolico che mira ad attirare approvazione da parte di chi condivide la stessa scelta politica, ottenendo una sorta di “riconoscimento” per la propria decisione. E si avvicina molto a quel narcisismo che si critica in Trump (che, se non altro, è presidente degli Stati Uniti), spingendo ancora più in là la deriva dei social: dalle camere dell’eco alle camere dell’ego.

Intendiamoci, l’idea di lasciare una piattaforma per motivi ideologici è del tutto legittima ed è a tutti nota la sensazione di disagio quando ci si confronta – o più spesso ci si scontra – con chi non la pensa come noi. Ma alleviare quel disagio (individuale) può avere un alto costo (sociale): rischia di impoverire ulteriormente il dibattito pubblico. Infatti, se ogni gruppo ideologico si ritira in spazi esclusivi, i social perdono la loro capacità di connettere persone con idee diverse, trasformandosi definitivamente in una serie di bolle ideologiche isolate. La vera sfida per chi sostiene il dibattito aperto sarebbe dunque rimanere su X e utilizzare questa piattaforma come luogo di confronto, anche di fronte a opinioni ostili, contrastanti o palesemente infondate. Chi decide di allontanarsi potrebbe, in ultima istanza, essere accusato di contribuire a creare proprio quell’ambiente a senso unico che tanto critica.

Il fenomeno del self-deplatforming è una manifestazione che mette in luce le difficoltà nel trovare un equilibrio tra coerenza ideologica e apertura al dialogo, tra identità di gruppo e autonomia di pensiero e, in definitiva, tra ciò che “sentiamo” e ciò pensiamo (o fingiamo) di essere. Da una parte, la decisione di lasciare una piattaforma può essere vista come un modo per difendere la propria identità e i propri valori. Dall’altra, è una scelta che potrebbe apparire come una fuga, una rinuncia al confronto e, in ultima analisi, una forma di narcisismo simile a quella che si attribuisce agli stessi avversari politici. Se il futuro del dibattito pubblico sui social passa dalla disponibilità a confrontarsi con opinioni diverse, allora la scelta di autodeplatformarsi rischia di essere un’occasione persa.

Luigi Di Gregorio

Autore