C’è voluta una giornalista colta e non conformista come Flavia Perina, sulla Stampa di ieri, per andare oltre il muro delle banalità che da giorni ci sommerge, a proposito di Elon Musk. Mentre i quotidiani-fotocopia titolavano sulle bacchettate istituzionali (forse dovute ma quantomeno burocratiche, ci perdoni l’amato Presidente) e sulle ricadute nel giardino di casa delle esternazioni antigiudici muskiane, Flavia ha detto e spiegato – in un pezzo non privo di critiche e di interrogativi – due cose semplici, che da sole dovrebbero sommergere le chiacchiere gonfie di invidia sociale delle quali ci stiamo cibando voracemente.

I geni fanno la differenza

La prima è che Elon Musk è un genio. E i geni fanno la differenza. A 12 (do-di-ci) anni crea e vende, per 500 dollari, il suo primo videogioco (Blastar). A 25 anni si inventa una piattaforma di guide cittadine online per i giornali (Zip2) e la rivende tre anni dopo a Compaq per 300 milioni di dollari. Con i soldi che realizza, investe in X.com, azienda di servizi finanziari che diventerà poi PayPal, acquisita da eBay nel 2002 per 1,5 miliardi di dollari. Con il terzo millennio, il giovane trentenne punta sullo spazio, e fonda SpaceX, per ridurre i costi dei viaggi spaziali (che abbatte con i Falcon, razzi riutilizzabili) e colonizzare Marte con il razzo Starship: l’obiettivo è fare dell’umanità una specie “multiplanetaria”. Nel frattempo, sulla nostra piccola Terra, Musk si inventa la Tesla, che produce veicoli elettrici di qualità, e sviluppa anche sistemi di batterie domestiche e tetti solari, per espandere un’economia a zero emissioni.

Crea “The Boring Company”, un sistema di trasporto sotterraneo per ridurre il traffico nelle città, con un sistema di tunnel per veicoli autonomi; e sviluppa il concetto di “Hyperloop”, sistema di trasporto ultraveloce che molte aziende stanno implementando. Fonda “Neuralink”, società di neurotecnologia che lavora sulle interfacce cervello-computer per curare malattie neurologiche. Lancia con “Starlink” una rete di satelliti per portare l’Internet ad alta velocità nelle aree del mondo di difficile connessione.

Il Leonardo del nostro tempo

Ce n’è abbastanza per definirlo il Leonardo del nostro tempo, scrive la Perina. Ma è già molto – aggiungo io – che per un genio di questa fatta non sia stato proposto il rogo; Michele Serra – sinistra in purezza – si è limitato a definirlo “iperbolico, smisurato, gonfio, prepotente”, quindi “pericoloso e ridicolo”. E chi se ne frega se grazie alle sue aziende – per fare un solo esempio – potremo combattere meglio malattie neurodegenerative, disturbi psichiatrici, cecità e sordità.

La seconda finestra che Perina apre alla nostra (declinante) intelligenza naturale riguarda l’ambiente culturale e filosofico in cui si muove Elon Musk. Le sue iniziative – come le prese di posizione, comprese le dichiarazioni contro i giudici che si occupano di immigrazione – sono sempre figlie di una visione longtermista della società e della storia.

Lo sguardo sul futuro

Che cos’è il longtermismo? È uno sguardo sul futuro – a mio avviso di segno decisamente progressista – secondo il quale noi dovremmo avere a cuore, più che i contraccolpi a breve delle nostre azioni, le conseguenze che esse produrranno sulle generazioni prossime. Quindi tutto quello che ha a che fare con il mondo che lasceremo in eredità ai nostri figli e nipoti. Metteteci dentro, per capirci, la prevenzione di catastrofi globali (l’investimento in sistemi di difesa contro le pandemie, le politiche di sicurezza nucleare, la protezione contro i crescenti rischi globali); le politiche ambientali e climatiche (la sostenibilità e la riduzione delle emissioni di carbonio); la stessa ricerca sull’Intelligenza Artificiale (la regolamentazione etica e responsabile del suo sviluppo). È l’essenza della filosofia longtermista: l’idea che il benessere delle generazioni future sia più importante di quello di chi oggi popola il mondo.

Sono note le obiezioni “nobili” al longtermismo: è difficile prevedere gli effetti delle nostre azioni nel lungo periodo, soprattutto su scale temporali molto distanti, ed è arduo stabilire con precisione quali azioni siano realmente benefiche per il futuro. Meno nobili sono le stanche obiezioni della politica, per la quale ogni sguardo sul futuro viene contrapposto alle esigenze del momento, sempre di natura elettorale: si tratti di difendere le sinecure delle burocrazie o le pensioni per i garantiti del nostro mastodontico welfare; tenendo sempre alta la bandiera della lotta alle disuguaglianze e alla povertà, ma non facendo nulla per combatterle attivamente, attraverso l’innovazione e la crescita.
E dunque ben venga Elon Musk, con il suo carico di rupture dei pachidermici codici comportamentali e dell’esausto linguaggio della politica: a pelle, ci pare qualcosa di molto riformista.