La mostra dedicata al maestro dell'horror
“Senza paura non potremmo vivere, vi spiego come ho capito le donne”: intervista a Dario Argento

C’è anche Rebecca, cinque mesi appena, ospite alla Mole Antonelliana di Torino. Dovranno passare un po’ di anni – quattordici almeno, stando a certi (vetusti) divieti ai minori appiccicati a molti suoi titoli – perché la bimba possa vedere un film di Dario Argento. Di cui il papà è un fan accanito. «Eccolo là», indica la mamma a Rebecca, mentre se la coccola in braccio. L’occasione è ottima per tutta la famiglia («bello uscire insieme, anche in circostanze insolite come questa») e per tutti i fan del Maestro. Così viene presentato, senza più specifiche (dell’horror, del brivido, del sangue…) il leggendario regista romano classe 1940, mezzo secolo abbondante di carriera. Il Museo del Cinema diretto da Domenico De Gaetano, gli dedica la monumentale mostra antologica «The Exibith». Da oggi al 16 gennaio 2023 nei magnifici spazi espositivi, che sembrano nati con la Mole che li ospita, per quanto si adattano all’architettura affascinante e poco consueta dell’iconico monumento cittadino.
«Chi è Dario Argento? Non lo so, non lo conosco così bene nemmeno io – scherza l’autore di L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, 4 mosche di velluto grigio («il nostro quotidiano è pieno di animali. Ma a parte i cavalli nei western, al cinema ce ne sono sempre troppo pochi» commenta lui) – . Firmo i film con questo nome: Dario Argento. Mi ispiro alle mie profondità, i miei sogni, l’arte, l’architettura e, naturalmente, al cinema». Sempre circondato da fan che lo citano a memoria, lui ammette con candore che forse «sono riuscito a capire meglio quello che ho fatto, proprio visitando questa mostra. Lunga nove mesi, dopo una preparazione durata quattro anni. Torino poi, è una città bellissima che tanto mi ha dato ispirazione. Molti miei lavori sono ambientati qui, forse ne farò altri. Vorrei tanto venire a viverci. Ma non posso lasciare Roma, dove ci sono le mie figlie, i miei parenti».
Così fa un certo effetto incontrare Dario Argento, in una saletta del Museo allestita con omaggi, locandine e memorabilia, di tante pellicole girate in città. Da Piccolo mondo antico di Mario Soldati a Così ridevano di Gianni Amelio. Ovvio ci sia una parete dedicata (extra mostra, fa parte della collezione museale permanente) al “torinese” Profondo rosso. Certo fra i suoi film più riconosciuti. Anche per un titolo riuscitissimo, che si è fatto modo di dire. «Lo scelsi mentre ero in macchina con mio fratello. A lui non convinceva. Ma a me piacque subito». Ad applaudire Dario Argento c’è anche Mario Martone. Autore celebrato, dalla critica e dai festival, di un cinema assai diverso. Forte delle tredici nomination ai David di Donatello per il suo Qui rido io, Martone risponde anticipando la domanda: «Da uno a cento la mia devozione per Dario Argento? Cento».
Piace a tutti Dario Argento. Sembra addirittura piaccia già, anche alla piccola Rebecca. Che resta impassibile quando, ad alto volume, le casse suonano la colonna sonora dei Goblin. Dario Argento piace anche, e giustamente, a se stesso. Malgrado si nasconda dietro un «mi sento una specie di clandestino, in questa mia mostra». Davvero non lo è. Oltre alla mostra, lo dimostra il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Così ricco di ricordi e omaggi, agli artisti più luminosi. Dario Argento è uno di loro e con tanti di loro ha lavorato.
Signor Argento, lei inizia come sceneggiatore per Sergio Leone. Quel suo esordio è uno o script celeberrimo, steso a quattro mani con Bernardo Bertolucci.
Facemmo insieme C’era una volta il West, uno dei migliori di Sergio Leone. Bernardo Bertolucci era mio coetaneo. Leone chiamò noi, due ragazzini. Per la prima volta, c’era una donna protagonista di un suo film (Claudia Cardinale, nel ruolo della indomita Jill McBain ndr.). Penso che Sergio avesse la convinzione che gli sceneggiatori italiani, così abili nel raccontare gli uomini, non lo fossero altrettanto con i personaggi femminili. Io e Bertolucci, giovanissimi, gli demmo probabilmente l’idea di gente che aveva una maggiore familiarità con l’altro sesso. Con Bernardo siamo stati a lungo amici. Poi lui si è ammalato e ora non c’è più.
A proposito di personaggi femminili. La sua filmografia ne è piena.
In quasi tutti i miei film, le protagoniste sono donne. Anche bambine, come Jennifer Connelly in Phenomena che poi molti anni dopo avrebbe vinto l’Oscar (nel 2002, come non protagonista per A Beautiful Mind, ndr.)
Aveva ragione Leone? Lei le donne le capisce?
Mia mamma era Elda Luxardo, una famosissima fotografa. Dopo la scuola passavo dal suo studio. Prima di tornarcene insieme a casa, io mi mettevo in un camerino e la osservavo lavorare. Era specializzata in ritratti femminili. Soprattutto delle grandi dive dell’epoca, come Sophia Loren e Claudia Cardinale. Ho ancora nel naso il profumo dolciastro del make up delle attrici e delle modelle. Erano bellissime e, a loro, sembrava che io nemmeno esistessi. Si spogliavano e rivestivano davanti a me, come se niente fosse. E’ stato così che ho cominciato a capire le donne.
Dopo sua madre, l’affare femminile è continuato a essere una questione di famiglia. Ha più volte diretto sua figlia Asia (da Trauma a Occhiali neri), come Daria Nicolodi (da Profondo rosso a La terza madre).
Daria (da cui Argento, nel 1975, ha avuto la secondogenita Asia ndr.) ha lavorato molte volte con me e per tanto tempo mi è stata vicina. Certo non potrò dimenticarla.
Il suo ultimo film è “Occhiali neri”, presentato fuori concorso all’ultima Berlinale. Uscirà “Vortex” di Gaspar Noé, in cui lei fa l’attore. Ci sono altri progetti?
Mi hanno proposto un film da girare in Francia, un Paese per me molto importante. Vortex è un film francese, Occhiali neri è realizzato con soldi anche francesi. Non se farò questo nuovo film, ma intanto me lo hanno chiesto. Dovrebbe essere un noir.
Cinema di genere, di cui lei in Italia è stato fra i principali esponenti. Il nostro Paese però, un tempo all’avanguardia, ne produce ormai pochissimo. Una eredità andata dispersa?
Non so come sia potuto succedere ma, è chiaro, molto di quel nostro modo di fare cinema è andato perduto. Anche se, a un certo punto, sembrava che le cose potessero andare meglio, grazie a registi come Lamberto Bava, Michele Soavi, Sergio Stivaletti. Poi è arrivata la nostra commedia un po’ banale, a volte brutta o di cattivo gusto. Così, il cinema italiano di genere ha finito per impoverirsi e siamo stati superati dai francesi e dagli spagnoli.
In questa epoca, a mettere paura ci si è messa anche la guerra in Ucraina.
Se la paura non esistesse, non potremmo vivere. Solo la paura ci permette di evitare certi pericoli. La guerra in Ucraina è spaventosa e purtroppo reale. Io racconto storie, faccio un cinema in cui non c’è nulla di reale. Tutto è parte del mio profondo, della mia psiche.
Esistono altre forme espressive in grado si soppiantare il cinema dell’orrore? Qualcuno dice che i videogiochi siano sulla buona strada…
I videogiochi? (stupito, ndr.) No, non credo.
Riavutosi, dall’unica domanda che l’abbia davvero spiazzato, Argento conclude deciso: «I videogiochi, davvero direi di no!».
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