Cresce giorno dopo giorno il numero dei magistrati in pensione che ha deciso di sottoscrivere l’appello, indirizzato al ministro della Giustizia Carlo Nordio, contro la riforma della separazione delle carriere. Ieri erano circa 500, per la maggior parte pubblici ministeri. Tanti i nomi noti: Francesco Greco, Armando Spataro, Piercamillo Davigo, Giovanni Salvi, Marcello Maddalena, Nello Rossi.
Nell’appello, ripreso dal sito dell’Associazione nazionale magistrati, le ex toghe sostengono con toni a dir poco apocalittici che la separazione delle carriere “stravolgerebbe l’attuale architettura costituzionale che prevede non solo l’appartenenza di giudici e Pm ad un unico ordine giudiziario, indipendente da ogni altro potere, ma anche un unico Csm”. Inoltre, “i giudici guardano alla rispondenza agli atti e alla logica degli argomenti delle parti, e non certo alla posizione di chi li propone: se fosse fondato questo sospetto, anche il giudice dell’impugnazione non dovrebbe far parte della stessa carriera del giudice del precedente grado di giudizio”.

L’appello, va detto, rischia di essere inutile in quanto la riforma della separazione delle carriere, sottoscritta da Forza Italia, Lega, Azione e Italia Viva, è incagliata da mesi presso la Commissione affari costituzionali di Montecitorio dal momento che il governo ha deciso di inserire nel cronoprogramma sulla giustizia una propria iniziativa al riguardo.
Ad oggi non è però chiaro chi dovrebbe elaborare il testo governativo. Il sospetto da parte di tutti è che siano i diretti interessati: i magistrati fuori ruolo dell’Ufficio legislativo di via Arenula. Una beffa.
Il prossimo 6 settembre, comunque, sono in programma le audizioni in Commissione affari costituzionali. I primi ad essere auditi saranno il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia e il coordinatore dell’Ocf Mario Scialla.

Puntuale, ovviamente, la polemica politica.
Tommaso Calderone
, capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia a Montecitorio e firmatario della proposta sulla separazione delle carriere, considera l’appello un tentativo “per frenare la proposta di legge”. “Le firme – aggiunge – si raccolgono nei condomini, per fare togliere le biciclette dagli androni, non per fermare le primarie prerogative dei parlamentari. Per quanto mi riguarda il documento dei magistrati in pensione è tamquam non esset. Andremo avanti più spediti di prima”. “La separazione delle carriere è un punto fondamentale del programma di Forza Italia, una riforma fondamentale per avere, finalmente, una giustizia efficiente, giusta e trasparente. In quanto parlamentare devo rendere conto a decine di milioni di italiani che vogliono questa riforma”, ha aggiunto quindi Calderone.

Durissimo il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (FI): “Il dibattito politico istituzionale italiano resta sempre sbilanciato. Per qualche giorno avremo ancora pagine intere sul libro del generale Vannacci, testo che non passerà certamente alla storia come “I promessi sposi” o “Il Gattopardo”, mentre è passato quasi sotto silenzio un testo, quello sì pericoloso, un atto di grave intimidazione nei confronti del Parlamento, sottoscritto da alcune centinaia di magistrati in pensione, che punta, come al solito, ad impedire al Parlamento di esprimersi sulla riforma della giustizia”. “In particolare – aggiunge – questi ex magistrati ordinano di non procedere alla annunciata riforma della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: questa ulteriore aggressione alla sovranità del Parlamento sarà respinta. Questa riforma “s’ha da fare”. E non saranno i fogli d’ordine dei “padroni della verità” a bloccare il libero Parlamento italiano. Noi rispettiamo la legalità repubblicana e la sovranità delle istituzioni democratiche. Questo manifesto-appello rappresenta un atto grave, ben più inquietante di un ufficiale in cerca di improbabile gloria. Eppure, se ne parla troppo poco. Noi ne parleremo. Anche in Senato”.

Critiche all’appello sono arrivate invece dal consigliere del Csm Andrea Mirenda, favorevole alla separazione delle carriere con un Pm però opportunamente garantito nella sua indipendenza.
“I Pm da sempre monopolizzano la vita associativa dei magistrati, avendo più tempo a disposizione dei giudici in quanto non devono scrivere le sentenze”, sottolinea Mirenda, già giudice a Verona.
“I capi dell’Anm, infatti, sono quasi sempre dei Pm, pur essendo sulla carta molti meno dei giudici. Non è perché siano più intelligenti ma, ripeto, perché hanno solo più tempo”, continua Mirenda, ricordando che “molti dei firmatari, quasi tutti ‘correntizzati’, hanno anche ricoperto incarichi politici di primo piano: mi stupisco che ora gridino al pericolo di un Pm sottoposto all’esecutivo”.