Il dibattito sulla privatizzazione delle partecipate del Comune di Napoli registra una nuova impennata. Spesso però si ascoltano e si leggono pareri, anche provenienti da illuminati commentatori, che non hanno ancora ben chiaro lo stato dell’arte delle partecipate. Le partecipate del Comune di Napoli sono quasi tutte coinvolte in procedure pendenti presso il Tribunale di Napoli. In alcuni casi addirittura fallite (Bagnoli futura, Napoli Sociale, Elpis) oppure coinvolte in concordati prefallimentari (è il caso di Terme di Agnano, ANM, CAAN). Otre a queste sono ben poche le società che non hanno procedure pendenti in tribunale pur essendo travolte anch’esse da una condizione debitoria gigantesca. È il caso di ASIA e ABC in particolare. Infine la Napoli Servizi, a cui il Comune ha affidato molte delle attività che erano di sua competenza diventando di fatto una struttura elefantiaca gestita in gran parte con criteri di tipo politico. Spesso coinvolta in gravi crisi di liquidità. Per cui queste società richiedono interventi di natura patrimoniale ed economica molto importanti. Soldi freschi con cui programmare rilancio e investimenti. Iniezioni di capitali che oggi il Comune di Napoli non è in grado di garantire, essendo alle prese con un pre-dissesto da cui sarà comunque complicato uscire indenni.

È del tutto evidente che questa gigantesca mole di capitali può arrivare soltanto dall’esterno. Per cui la domanda corretta da porsi è: vogliamo salvare queste società da una sorte sicura quanto tragica, oppure vogliamo lasciarle affondare lentamente come di fatto sta accadendo, rinunciando per sempre ai servizi che le stesse dovrebbero offrire? Questa argomentazione di carattere economico-patrimoniale non è disgiunta da un ulteriore ragionamento che vede coinvolto il management di queste aziende. Nel corso di questi ultimi decenni, queste partecipate venivano affidate a persone in qualche modo coinvolte nella politica e pertanto premiate o spostate, senza avere (quasi mai) competenze specifiche nei settori commerciali in cui operavano le società stesse. Si trattava di personaggi contigui al mondo politico che accettavano di lavorare per queste partecipate con compensi irrisori. Ovviamente irrisori rispetto ai manager di aziende private che operavano negli stessi settori. Nella maggior parte dei casi questi compensi erano pari ad un decimo o ad un ventesimo di quelli dei loro “omologhi” privati.

Per cui vi è legittimamene da chiedersi: perché accettavano queste persone di lavorare in queste società per stipendi così modesti? È ovvio che quelli veramente preparati e molto capaci si spostavano immediatamente nel settore privato dove i guadagni erano significativamente maggiori. Oggi siamo in presenza di un’occasione storica perché queste società sono piuttosto appetibili per i privati, poiché ormai la forza lavoro in carico è piuttosto ridotta ed in moltissimi casi anagraficamente in età molto avanzata per cui prossima alla pensione. Questo favorisce una significativa ristrutturazione delle aziende, affidandole a manager competenti e a strutture con missione imprenditoriale, capaci di confrontarsi con il mercato e dotate del know how necessario per la gestione di servizi strategici che impattano sulla vita dei cittadini. Al Comune, dunque, il compito di stipulare convenzioni fatte in maniera da garantire ai cittadini efficienza e qualità del servizio. Chimere lontanissime, se non si esce dallo stallo attuale.