Sarà una campagna elettorale breve e intensa, dai primi segnali piuttosto infuocata, e alquanto incerta per il centro sinistra. Non convince l’l’allarme, ideologico e verboso, al pericolo delle “destre” e del neo fascismo. Gli elettori hanno tutt’altro per la testa, tra inflazione che prosciuga i risparmi, aumento delle bollette e dei pressi, rischio di recessione. In questo clima il tema lavoro meriterebbe una attenzione speciale. Anzi, cruciale. Dovrebbe essere uno degli argomenti più dirimenti. Una conferma viene dalle anticipazioni del rapporto Svimez 20220 sull’economia del Mezzogiorno. Con la pandemia non ancora debellata, l’ombra delle conseguenze della guerra in Ucraina che minano il tessuto produttivo e rischi di instabilità politica acuita dalla crisi di governo, il picco dell’inflazione che potrebbe a sua volta interessare in maniera più marcata il Mezzogiorno (8,4%; 7,8% nel Centro-Nord), facendo crollare i consumi al Sud nel 2023-2024.

In questo scenario che definire critico è eufemistico, una campagna elettorale degna del nome dovrebbe avere il tema del lavoro come centro di gravità. In particolare la lotta al lavoro irregolare, che resta uno dei maggiori ostacoli alla crescita economica e sociale di un territorio. Fin qui pochi dubbi. Anni di dossier, statistiche e polemiche sono serviti a radicare nell’opinione pubblica l’idea per la quale il lavoro irregolare impedisce qualsiasi forma di sviluppo e di investimento di capitali. Nessun dubbio che questa condizione rappresenti una zavorra per le prospettive di crescita di un Paese che trovi nel Mezzogiorno la sua nuova “locomotiva”. Qui ai tassi di delittuosità elevati, a criminalità organizzata, corruzione e sacche di marginalità sociale, si unisce il lavoro sommerso, indubitabile fattore di rischio per chi presta determinati servizi in un contesto di illegalità.

E non è un caso che i settori caratterizzati da un rischio infortunistico più elevato siano gli stesso in cui gli ispettori dell’Inps hanno rilevato la maggiore concentrazione di rapporti di lavoro irregolari, cioè l’agricoltura e l’industria. E parimenti non c’è dubbio che questi due comparti siano storicamente quelli che trainano l’economia pugliese.

Che cosa significa in concreto? I soggetti con le peggiori condizioni di salute e di sicurezza sono quelli più marginali e isolati. Le donne, i giovani e i migranti hanno alti indici di disoccupazione e tendono a essere assunti in mansioni o con modalità meno sicure degli altri lavoratori. Allo stesso modo i lavoratori con contratti temporanei, così come quelli irregolari, occupano posizioni più esterne e marginali. Ancora, le aziende di piccole dimensioni risultano più marginali sia nella filiera produttiva che nel mercato globale. Alla forte frammentazione del mercato del lavoro e delle filiere, dunque, corrisponde la frammentazione di diritti e tutele.

Come se ne esce? Innanzitutto favorendo l’emersione del lavoro irregolare. Il che significa, sostanzialmente, mettere le aziende in condizione di ingaggiare dipendenti e collaboratori nel rispetto della legge. Cioè, se volete, rivedere il costo del lavoro e i sussidi ai soggetti privi di reddito. Una buona idea potrebbe essere quella di tagliare il cuneo fiscale per far sì che sempre più persone possano essere assunte con le garanzie, non solo in termini di retribuzione ma anche di sicurezza, previste dalla legge. E poi occorre investire sulla formazione, cioè far comprendere a datori di lavoro e lavoratori quanto sia importante mettere a fuoco i rischi connessi allo svolgimento di ciascuna prestazione per poi individuare, con l’ausilio di esperti, le strategie più idonee per prevenirli ed eventualmente affrontarli. Perché legalità e sviluppo non possono essere disgiunti dalla sicurezza.