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Si poteva salvare Aldo Moro? Sequestro, enigmi, errori e trattativa fallita: il mistero è ancora irrisolto

A quarantasette anni dalla tragedia di Aldo Moro non scarseggiano articoli e libri su quei terribili cinquantacinque giorni che sconvolsero l’Italia. E la domanda delle domande resta sempre la stessa: poteva essere salvato, il presidente della Democrazia cristiana? Adesso è uscito un libro di Claudio Martelli e Francesco De Leo edito da Solferino, “Mi sento abbandonato – La vera storia della trattativa per salvare Moro”.
Martelli ricostruisce la gestione politica del sequestro, che seguì da protagonista a fianco di Bettino Craxi nel tentativo di fare tutto il possibile per salvare la vita del presidente della Dc, mentre De Leo indaga sui retroscena di quella vicenda attraverso interviste inedite e consultazione di documenti e diari scritti successivamente. Ormai una lunga pubblicistica ha documentato – e De Leo ci torna con precisione – le lacune, anzi le assurdità, che caratterizzarono le indagini: esempio clamoroso, la visita della polizia a via Gradoli, dov’era il covo dei capi delle Brigate Rosse, che gira sui tacchi e se ne va dato che nessuno rispondeva.
Era davvero introvabile, Moro? De Leo sostiene che nelle sue drammatiche lettere si celasse con un anagramma persino l’indirizzo di via Montalcini dov’era rinchiuso. Può darsi. Nessuno saprà mai se lo statista democristiano abbia davvero seminato quell’indizio. Ma rivissuta oggi, anche la questione della “trattativa” suona alquanto strana.
Quella strada fu sbarrata soprattutto dai comunisti ma anche, pur con qualche crepa, dai democristiani: lo Stato democratico, sostenevano, non può cedere al ricatto. Ma è anche vero che i trattativisti, cioè il Psi di Craxi e Martelli, non riuscirono a imbastire qualcosa di concreto in tempi rapidi, e quando venne coinvolto Amintore Fanfani per un tentativo di mediazione era troppo tardi: Aldo Moro era già stato ucciso dagli assassini.
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