La perfezione del numero 3. Ovverosia, Jannik Sinner. Ha tante facce la perfezione della nuova posizione raggiunta nel ranking del tennis mondiale dal ventiduenne della Val Pusteria. C’è il fattore tecnico, ovviamente. Djokovic è lassù ormai quasi da sempre e può contare su 1600-1700 punti di vantaggio, una distanza difficile da colmare in fretta. Alcaraz, il numero 2, ha circa 900 punti in più dell’azzurro. Insomma, al netto di qualche scivolone, Sinner dovrebbe restare numero 3 a lungo almeno per i due tornei Master 1000 di Indian Wells e Miami. Questo si traduce col fatto che in questo periodo non dovrebbe incontrare Djokovic prima di una eventuale finale. Il numero 3, infatti, va allo scontro diretto con il numero 2, Alcaraz, che al momento sembra meno ostico per il gioco di Jannik. E poi c’è il fattore motivazionale che in uno sport individuale come il tennis è importante tanto quanto il movimento di piedi e la posizione in campo. Il numero 3 ha raggiunto il podio con tutti i suoi vantaggi (logistici, organizzativi e di tabellone come abbiano visto) ma è ancora outsider, può perdere e non sarà mai un crollo. Il numero 3 è il più leggero del podio: il numero 1 è lassù, soffre di solitudine (Djokovic) e il 2 di vertigini (Alcaraz) tale da provocare inspiegabili cadute, come la sconfitta contro Jarry in semifinale a Buenos Aires.

Finita la cabala del numero 3, di cui ovviamente a Sinner importa molto poco, resta il modo, e cioè “come” l’azzurro è arrivato sul podio del tennis mondiale a 22 anni. Ci aiutano ancora una volta numeri e statistiche: è la seconda volta nella storia del tennis contemporaneo che un giocatore vincitore dello Slam si aggiudica subito un altro titolo major. Lo aveva fatto nel 2001 Leyton Hewitt: prima gli Us Open e poi Tokio. Lo ha fatto Sinner 23 anni dopo. In genere dopo una grande vittoria, dopo una finale ripresa per i capelli da due set sotto, dopo aver issato al cielo il primo slam, segue un inevitabile momento di relax. Di svuotamento. Il bisogno di non pensare a nulla. Di sentire solo il rumore della pallina sulle corde – quindi allenamenti in scioltezza che per molti tennisti è una cura, un ritmo quasi ipnotico e rassicurante al tempo stesso. Invece Jannik ha attraversato con lucidità e senza sbagliare un colpo i tre giorni della beatificazione nazionale, le passerelle e i photo shooting. Ha dato le risposte giuste e ha evitato mosse sbagliate, ad esempio calcare il palco di Sanremo. Non è snobismo, il suo. Si chiama straordinaria capacità di gestirsi. Ha parlato a braccio davanti al Presidente della Repubblica, ha portato la Coppa alla premier Meloni, è diventato un romanzo popolare – ormai tutti parlano di Sinner – e quando ha deciso, cioè allo scoccare della 72esima ora, ha salutato tutti e si è rimesso a lavorare.

Il rassicurante binario degli orari, degli allenamenti e del rumore della palla sulle corde. Sul torneo di Rotterdam i soliti “vi-spieghiamo-noi-chi-è-Sinner” hanno fatto romanzi e previsioni. “Vedrai, rallenta, è normale, farà un paio di partite e intanto si prepara per la trasferta americana” cioè i Master 1000 di Indian Wells (6-17 marzo) e Miami (20-31 marzo). Invece è successo che Sinner si è allenato pur facendo il torneo. Lo ha spiegato coach Vagnozzi in questi giorni a Rotterdam: “Dopo Melbourne, quei 4-5 giorni di stacco e poi subito in campo a Montecarlo”. Potenziamento fisico, prima di tutto, e poi variazioni e rete senza per questo cedere mai in potenza e velocità di esecuzione. E poi il servizio. Diciamo la verità: Sinner non ha giocato benissimo a Rotterdam. Quel set perso da Monfils è un vuoto che da numero 3 sarebbe meglio non avere. Contro l’olandese Griekspoor, n.28 che aveva eliminato Musetti al primo turno, il punteggio finale (62-64) è bugiardo nel senso che non racconta l’intensità del match. La partita più bella è stata la finale contro Alex de Minaur (75/64) con scambi fino a 34 colpi, l’australiano che ha corso come una lepre da una parte all’altra del campo. Un De Minaur irriconoscibile rispetto a quello di Malaga sconfitto per 63-60. Certo, il servizio deve ancor acquistare continuità, la seconda efficacia, ma la differenza, il salto di qualità che ciascuno può percepire nel gioco dell’azzurro da novembre a oggi è proprio nella postura con cui Sinner sta in campo. La consapevolezza con cui accetta il momento no e il colpo sbagliato, l’autorità anche nel body language con cui accetta l’errore anche clamoroso e ci ride su. Domenica in finale per due volte ha perso il servizio ma lo ha subito recuperato. Break e contro break, per due volte, senza traumi né tragedie. Se cala un po’ il buio in campo, ora Jannik Sinner sa subito dove trovare in campo l’interruttore per la luce.

Questa consapevolezza è un percorso lungo, a tappe, prevede discese e risalite. Occorre tempo. Jannik se l’è preso tutto, senza fretta, con pazienza e adesso è mentalmente un giocatore molto solido. Il più solido forse mai avuto in Italia. “In questo momento Sinner non ha punti deboli, se qualcuno li trova me li dica”, ha detto Adolfo Gutierres, coach di Alex De Minaur. Lo trattano da numero Uno ma lui sta benissimo al terzo posto del podio. Non ha fretta. Con domenica sono 201 le partite vinte, il dodicesimo torneo in carriera, il quarto torneo Atp (Pechino, Vienna, Washington, Rotterdam). È lucido: “De Minaur è un altro giocatore rispetto anche a pochi mesi fa. Io sono rimasto molto calmo mentalmente e ho trovato i buchi nel suo gioco. Nel momento giusto sono riuscito a pressarlo e quindi sono contento del risultato”. Non cambia le priorità. “Ora vado finalmente a casa qualche giorno. Non sono ancora andato dopo Melbourne e non vedo l’ora di stare un po’ a casa con i miei genitori e i miei nonni”. È consapevole: “Io ho belle persone attorno a me con cui viaggio molto e bisogna rendere l’atmosfera divertente. Io dico sempre di aver trovato le persone giuste nel momento giusto”. Sa che non sarà sempre così. È pronto a cadere. E a rialzarsi. Del resto “i momenti difficili ti rendono più forte”. Il suo motto: “Quando perdo, imparo”. Sempre win-win.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.