Il successo agli Australian Open
Grazie Jannik. Il ragazzo dei record e la partita a scacchi con Medvedev. Così un italiano è tornato a vincere uno Slam dopo 48 anni
Si dice che il tennis sia lo sport della resilienza: ogni punto, ogni servizio, ogni game giocato sono soprattutto una faccenda di resistenza, sfida e di vittoria con se stessi. Caro Jannik, grazie per i record, ovviamente. Ma soprattutto per le emozioni e per la lezione
Se il tennis è “una partita a scacchi correndo” come diceva David Foster Wallace, la finale degli Australian Open ne è stata la rappresentazione più efficace. Tre ore e 43 minuti di cadute, attese, risalite, stalli, scacchi alla regina e pedoni imbizzarriti – Jannik e Daniil – che si sono mossi in campo e hanno colpito la palla con traiettorie imprevedibili. L’impresa è che ha vinto il più giovane, il meno esperto (sei finale slam per il russo) ma il più resiliente contro un amante degli scacchi come Medvedev, scaltro, cattivo, quasi diabolico – anche nello sguardo – con un tennis impuro e un gesto atletico improbabile non a caso definito “octopussy”. Di qua il tennis perfetto – Sinner – di là il “polipo” che frulla la racchetta sul diritto e colpisce il rovescio come nessun altro riesce a fare. Riuscendo, però, in entrambi i casi, a trovare angoli che sfidano la fisica e la gravità.
Per l’Italia del tennis Jannik Sinner scrive la Storia. In pochi mesi ha frantumato record e tabù inviolati da 48 anni (la Davis), da quarantasette (l’ultima vittoria in un Slam, Panatta a Parigi nel 1976) e da sempre visto che mai un italiano aveva vinto down under nel primo slam della stagione. Nessuno italiano ha vinto tanto quanto lui (undici titoli, tra cui lo Slam) e ha solo 22 anni. Ma c’è una lezione che Jannik sta regalando a tutti, tennisti e non, sportivi o meno, di ogni età: serietà, impegno, sacrificio, umiltà, capacità di ascolto e dedizione sono importanti tanto quanto il talento. Lui ne ha entrambi, da vendere.
“Ogni volta che perdo imparo” ama ripetere The Fox, che è anche il suo originale nick name. Nel magma di emozioni che può aver avuto in testa durante la premiazione davanti ai 15 mila della Rod Laver arena, Sinner ha fatto i ringraziamenti di rito agli sponsor, agli organizzatori, a Medvedev e a tutti i giocatori, al suo angolo tecnico. Ma ha trovato il modo di ringraziare “i miei genitori che mi hanno lasciato la libertà di decidere cosa volevo fare e hanno avuto fiducia in me facendo molti sacrifici”. A 13 anni Jannik ha lasciato le gare di sci per il tennis. A 14 ha salutato mamma e papà, che lavoravano in un rifugio in val Fiscalina, e se n’è andato con Riccardo Piatti nella sua accademia di tennis in Liguria. È legatissimo al fratello Mark, più grande e adottato prima che lui nascesse, tanto da volerlo nel suo team. Sinner è un campione e lo si vede soprattutto da questi particolari. Ieri ha frantumato un altro tabù: la sua tenuta fisica e mentale al quinto set. Lo ha fatto con il vincente migliore: recuperando da due set sotto e chiudendo il match al primo Championships point disponibile del quinto set con un colpo che è il suo marchio di fabbrica, dritto a uscire nell’angolo sinistro dell’avversario tirato da tre quarti campo.
La partita, allora. Se si cerca il quindici della svolta, va fissato nel nono game del terzo set. L’italiano serve sul quattro pari. Conduce 40-15 ma il russo recupera a modo suo con colpi anticipati, traiettorie fulminanti e angoli imprendibili. Tiene i piedi dento il campo e questo leva tempo a Sinner che sembra sempre in ritardo, quasi mai in grado di imbastire il palleggio e costruire il punto. Siamo a due punti dal break definitivo per chiudere la partita in tre set. Invece Sinner prende il vantaggio con uno schiaffo al volo di dritto molto coraggioso e va su 5-4 con il suo dritto colpito dal centro del campo. Tornano in mente quei tre match point recuperati a Djokovic nella semifinale di Davis. La svolta vera nella carriera di Sinner, il clic che in un attimo ti trasforma da perdente a vincente, va forse cercato lì, a Malaga.
Ma torniamo sulla Rod Laver Arena. Sul 5-4 e il break, Sinner non sbaglia quasi più nulla. Il tabellone fissa un parziale di gioco che riaccende la speranza: doppio 6-3 per il russo; 64 per Sinner. In realtà qual nono game definisce un cambio di inerzia nel match iniziato già all’inizio del terzo set. E anche un po’ dal secondo quando Vagnozzi e Cahill, dall’angolo, insistono con calma ma costanza su tre preziosi consigli: uscire dalla diagonale di sinistra, quella del rovescio, dove il russo è micidiale; variare i colpi, angoli e traiettorie, e togliere automatismi all’avversario che sembra in trance e colpisce tutto anticipato trovando angoli imprendibili; cercare di avviare lo scambio nella risposta arretrando un po’ con i piedi e cercando di colpire con più spin. Il dio del tennis ci mette un po’ del suo guidando il servizio dell’azzurro che fino a quel momento non lo ha aiutato. L’andamento del torneo, anche, comincerà, prima o poi, a presentare il conto: Sinner è stato in campo sei ore in meno di Medvedev reduce da una semifinale- maratona di cinque ore recuperando due set al tedesco Zverev.
Medvedev si gioca tutto nel quarto set. Sa che la stanchezza gli sta rallentando gambe e riflessi. Come in un gioco di specchi, Sinner invece ritrova forza e lucidità. Deve cancellare dalla testa tutti i pensieri inutili e giocarsi ogni quindici come se non ci fosse un domani. Lo farà con talento e coraggio. Sbagliando, anche, ma succede quando sei in una roulette russa e hai deciso che non devi rallentare ma insistere nel tirare forte. Il quarto set ha un andamento simile al terzo: inizia a servire l’azzurro, così come nel terzo set, e ciascuno tiene il servizio fino al quattro pari. È un’altra partita: nonostante la stanchezza ci sono scambi fino a 39 colpi ad alta intensità e alla fine è il russo che sbaglia o l’italiano che piazza il vincente.
Medvedev è aiutato molto dal servizio, sua àncora di salvezza in tutti i cinque set . Sul tre pari, al servizio Sinner, un altro game da circoletto rosso: Jannik va sotto 0-30, recupera ma poi cede la palla break al russo. Un break adesso sarebbe la fine. Ma Sinner fa qualcosa da grane campione: piazza un ace ad uscire. Tiene il game. 4-3, quattro pari, 54 per l’azzurro e il russo va a servire. È la situazione gemella del terzo set: Sinner chiude 64. Il computer restituisce un dato emblematico: Medvedev ha l’82% di prime palle: Sinner solo il 46%.
Si va al quinto, la partita finale. L’aria è cambiata, il volto stremato di Medvedev, quasi trasfigurato in un demone di Dostoevskij scrittore che ama tanto quando gli scacchi, contrasta con lo sguardo lucido, concentrato, consapevole di Sinner. Ciascuno tiene il servizio ma i game di Jannik adesso vanno via più veloci. Soprattutto l’altoatesino ha messo stabilmente i piedi in campo e sta togliendo tempo al gioco frenetico che il russo ha mostrato nei primi tre set. Il break per la gloria arriva al sesto game: due passanti, uno di dritto e uno di rovescio, una volée e uno schiaffo al volo rendono tutto molto semplice. Come il Sinner visto in campo contro Djokovic.
Da quel momento non ci sono più brividi. Qualcuno sugli spalti della Rod Laver Arena bacia carote di stoffa. Altri stringono corni anti iella. I tricolori sventolano a Melbourne park. Sul 52 il russo riesce ancora a tenere il servizio con un paio di ace. Ma il nono gioco, Sinner al servizio, è quello finale: una rima e una seconda di servizio vincenti, il dritto a uscire è quello della consacrazione.
Sinner si butta a terra e guarda il cielo blu notte di Melbourne. “Difficile per me ora mettere in fila cosa è successo. Deve sedermi e processare la partita”.
Si dice che il tennis sia lo sport della resilienza: ogni punto, ogni servizio, ogni game giocato sono soprattutto una faccenda di resistenza, sfida e di vittoria con se stessi. Caro Jannik, grazie per i record, ovviamente. Ma soprattutto per le emozioni e per la lezione.
© Riproduzione riservata