Israele è nata per dare la pace ad un popolo. Al suo popolo. Eppure, il suo popolo non conosce pace. Nemmeno nella sua accezione più semplice. Nemmeno nella quotidianità dei gesti più semplici e scontati.
Dalla sua nascita non cerca altro che preservare la propria identità sopravvivendo ad un interminabile ciclo di odio che, nel senso più letterale del termine, la circonda. È sotto gli occhi del mondo ma Per quanto ci si sforzi di figurarmi nella loro realtà mai ci potrei riuscire davvero. Nessuno di noi può tradurre e sovrapporre le proprie esperienze di vita quotidiana ad una spesa in un supermercato armato di tutto punto. Come fosse la cosa più normale del mondo. Come facciamo a sapere come si sente una ragazzina di 20 anni con un un’arma addosso pronta ad essere usata?
Il più naturale ed indisponibile dei diritti, la vita, diviene il diritto più fragile da preservare. Hamas incarna il “terrorismo ed il ricatto”. Agli israeliani e ed al suo stesso popolo dentro il quale è nascosto. Hamas come un parassita si insinua e manipola la sofferenza utilizza la fede come strumento di riscatto definitivo di una vita di stenti con la promessa di un’esistenza gloriosa nell’eternità. È nascosto tra tutti noi e noi dobbiamo ammettere la sua esistenza per combatterlo e farlo convintamente anche se fa paura. Hamas, il terrorismo, vuole annientare la civiltà.

Non so davvero quanto sia cambiata nel tempo Israele. Ma ho constatato di persona con quanta commovente energia gli Israeliani, tengano chiuse con forza le porte dell’odio che la storia, ciclicamente, ha riversato addosso loro. Affinché l’abominio unico vissuto nel corso dei millenni possa essere, perlomeno, combattuto. Israele non è un mondo chiuso. Israele ha avuto la forza, finalmente, di chiudere la porta di casa. Di una casa. Difendendosi e continuando a farlo da un attacco di un ‘atrocità inimmaginabile. Tutte le guerre portano vittime ma la crudeltà con la quale donne, bambini e uomini sono stati uccisi non ha niente a che vedere con un conflitto armato, ma è frutto di un accanimento e di una crudeltà irripetibile sulla vita umana.
Il 7 ottobre sarebbe stata l’ennesima manifestazione di odio materializzatosi nella coscienza e nelle anime di qualunque Israeliano. Un odio ed una violenza che ha travalicato di gran lunga qualsiasi cosa abbiamo vissuto fino a quel momento. Mostruosità inimmaginabili che io ho visto con i miei occhi.
Sui loro volti non ho trovato traccia di paura, ma ho letto la terribile consapevolezza che, la loro casa, le loro famiglie e la loro cultura debbano essere una volta per tutte liberate. Al confine non avranno altri difensori al di fuori di se stessi. sono pronti a rinunciare a tutto per ritrovarsi. Non è facile e non sarà facile ma ora è necessario. Israele ha dovuto difendersi. Israele deve o dovrà riuscire a vivere la pace non come un segmento temporale tra una tregua ed un’altra dai continui attacchi, ma come status di normalità.

La prima sensazione percepita da chiunque si rechi in Israele è che si sia al cospetto di un popolo preparato alla guerra. Dove si fa fatica, nel concreto, a distinguere un militare da un civile perché, la chiamata alle armi, è generalizzata e perenne. Sono andata in Israele per onorare il mio lavoro. Ci chiamano onorevoli e prima di esprimerci abbiamo il dovere di accertarci di quale sia lo stato delle cose. Mi hanno detto che fosse pericoloso non perché il popolo israeliano sia violento ma perché sono stati attaccati e vengono attaccati violentemente. Una violenza inaudita. Questa è la verità e la verità è una. Ho nel naso gli odori, negli occhi le immagini, e nell’anima il dramma di chi vive ogni giorno come fosse l’ultimo. Ho vissuto la costernazione di chi si sente impotente non solo dinanzi a colui che ha deciso di essere un nemico, ma dinanzi le difficoltà e le incomprensioni che le opinioni pubbliche di mezzo mondo manifestano. Ma come si possono avere dubbi a condannare un atto Terroristico di una tale portata e crudeltà? Come si può rimanere inermi e non difendersi?

Sacrificando ai più vergognosi e non veritieri luoghi comuni, la violenza che letteralmente circonda lo Stato di Israele ed i principi democratici che contraddistinguono la nostra civiltà. Dobbiamo lavorare insieme per debellare l’odio Il lavoro che è stato fatto non ha prodotto frutti fino ad ora. Il lavoro che spetta alla comunità internazionale è incredibilmente ampio e deve essere continuo e deciso non solo per la comunità ebrea ma per tutti gli esseri umani. Resterà nella mia mente il pensiero di un lavoratore israeliano. Un tassista. Che come altri lavoratori girava armato di pistola. Convinto che non si giungerà mai ad una pace finché le nuove generazioni di giovani palestinesi non saranno cresciute estirpando dentro di loro il seme dell’odio. Estirpando dalla mente di bambini di 4/5 anni il pensiero che un israeliano, di qualunque età sesso o classe sociale, vada ucciso in ogni caso. “Tutti vogliono la pace ma nessuno ci crede perché il popolo palestinese non è pronto per la pace. Crescono con l’idea che per noi non ci sia posto”.
Un pensiero schietto e semplice. Come la fragile vita condotta da queste persone. Lascio Israele con un’immagine nel cuore e nella mente. Al knesset, ovunque, la stella con sotto una esortazione. Insieme vinceremo. Dobbiamo tutti insieme sostenere con forza Israele che sta combattendo sotto le mura di Gerusalemme la guerra di tutti noi per la sopravvivenza della democrazia e lotta alla libertà. È la guerra di tutti quelli per la vita. Cosa succederebbe se Israele non combattesse? “Insieme vinceremo”.

Naike Gruppioni

Autore