«Secondo una recente stima dell’istituto di ricerca del Children’s Hospital di Filadelfia, le armi attualmente possedute dagli abitanti degli Stati Uniti ammontano a 393 milioni, più di una per ogni uomo, donna e bambino del paese», ha scritto Paul Auster nel libro postumo edito da Einaudi che s’intitola “Una nazione bagnata di sangue” (traduzione di Cristiana Mennella). È fin troppo chiaro che, in questa situazione, il buio nella mente di chi ha un’arma tra le mani può portare a disastri. Il grande scrittore ha passato in rassegna alcuni di questi. Come quello del primo ottobre 2017, quando un uomo di 64 anni iniziò a sparare dalle finestre dell’hotel Mandalay Bay di Las Vegas sul pubblico, uccidendo 60 persone e ferendone 441 prima di uccidersi. Il tutto senza un motivo. Fu la strage compiuta da una persona sola più grave nella storia degli Stati Uniti.

Tantissime altre ce ne furono. Il 3 agosto 2019 a El Paso, Texas, Patrick Crusius, 27 anni, esce di casa indossando pantaloni chiari, una maglietta a maniche corte nera, occhiali e cuffie e si dirige risoluto verso i grandi magazzini Walmart pieni di gente. Nessuno ci fa caso quando entra nel locale armato di Ak-47, il kalashnikov purtroppo usato in tante stragi. Tutto si svolge come nei film, in pochi attimi. Patrick spara all’impazzata: alla fine, 23 morti e 23 feriti. Viene riconosciuto ore dopo: è l’autore di una sorta di manifesto, postato online due anni prima, dove dice di odiare gli ispanici. La foto dei magazzini Walmart di El Paso, insieme a tante altre scattate dal fotografo Spencer Ostrander, compaiono nel libro di Auster: così, isolate, nude, innocenti. Non ancora bagnate di sangue. L’innocenza americana nel diluvio delle pallottole: Auster si chiede come mai, questo.

All’epoca della strage di El Paso del 2019, alla Casa Bianca c’era Donald Trump. Che oggi vi è ritornato. Con una carica anti-immigrati molto più forte di quella di allora. E con una “comprensione” per l’uso delle armi ormai piena, totale, “ideologica”. Auster, con la sua penna vellutata, spazia nella storia americana in cerca delle ragioni della “passione” – selvaggia e moderna al tempo stesso – di quel popolo per le armi, la violenza, il sangue: tutte cose che hanno impastato il grande cinema, la grande letteratura americana. Al non ancora scrittore le pistole piacevano, ma niente di che: solo giocattoli. Poi, adulto, scopre che nel 1929 sua nonna aveva sparato a suo nonno, e allora la pistola diventa un’altra cosa: non era un giocattolo o quella dei western o dei film polizieschi. La scoperta lo scuote, lo pone davanti a una domanda cruciale e senza risposta: perché gli abitanti della nazione più moderna ammazzano senza freni?

«Paura unita a violenza, con i proiettili come primo mezzo cui affidarsi. È una combinazione che ricorre in ogni capitolo della nostra storia e continua a essere un dato essenziale della vita americana moderna», scrive. Come diceva lo slogan del film di Martin Scorsese “Gangs of New York”, «l’America è nata nelle strade», o nelle praterie, a caccia di uomini e della loro terra, è – scrive Auster – «un paese spaccato a metà sin dai suoi albori, non solo tra bianchi e neri o colonia e indiani, ma anche fra bianchi e bianchi, perché l’America è la prima nazione al mondo che venne fondata sui princìpi del capitalismo, che è un sistema economico alimentato dalla competizione e quindi, giocoforza, dal conflitto».

Da sempre è stato un gigantesco campo di battaglia. Nemmeno la magnifica Costituzione del 1776 ebbe la forza di correggere questa tendenza, questa terribile “abitudine” alla sopraffazione. Thomas Jefferson, il cantore e creatore della libertà americana, aveva una schiava. Gli Stati Uniti sono nati nel segno di una violenza mai sopita. Anzi, nella frenesia novecentesca fino ai nostri giorni, il numero di sparatorie, stragi, pallottole e morti ha raggiunto vette mai viste. Dopo il 6 gennaio – scrive Auster – «l’America è entrata in un nuovo territorio mai immaginato in precedenza, e oggi, mentre scrivo queste parole, sette mesi dopo che Trump ha finito il suo mandato, non c’è nessuno tra il Maine e la California, tra il confine settentrionale del Minnesota e la punta meridionale della Florida, che abbia la più pallida idea di ciò che succederà».

Il grande scrittore non ha fatto in tempo a vedere il fragoroso ritorno di The Donald alla Casa Bianca: ha chiuso gli occhi per sempre prima di assistere a una prevedibile nuova fase della storia della violenza americana. Il Grande Paese non smetterà di sparare, e forse Paul Auster lo sapeva.