L'impegno di Roma
La strategia che dovrebbe seguire il Piano Mattei: portare in Africa le imprese italiane che fanno gas
Catalizzare le forze e fare squadra tra le imprese italiane per fare energia tradizionale, magari affiancando le rinnovabili
Consuma più la lavatrice di casa nostra, circa 200 chilowattora, che un africano subsahariano in un anno, con 180 chilowattora. Il principale prodotto per fare elettricità in Africa è il gasolio diesel, che fa andare i motori dei generatori con un ronzio ininterrotto, ed è tutto importato, perché di raffinerie di petrolio non ne hanno, nemmeno in quei paesi che producono ed esportano tanto petrolio come Nigeria o Angola. Un chilowattora nell’Africa subsahariana può arrivare a costare fino a 10 euro, quando serve per caricare i telefonini, mentre i nostri prezzi non arrivano a 30 centesimi di euro per chilowattora. Sono alcuni dei paradossi dell’energia in Africa, la parte del mondo dove si concentra la maggior parte della povertà, dove la fonte principale per la copertura dei pochi consumi energetici che hanno è la biomassa. Non quella bella usata da noi, ma quella povera, quella raccolta a mano dalle donne, nel raggio di 3 o 4 chilometri. Sono sterpi, scarti dell’agricoltura, sterco secco, che viene bruciato in fuochi o stufe prive di aerazione e che produce fumo che viene respirato dalle persone che ci sono vicine, che sono donne e bambini. Questa è stata riconosciuta essere una delle principali emergenze ambientali dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché causa morti premature di mezzo milione di persone ogni anno.
Anche per questo l’Africa ha bisogno di energia moderna, di quella che utilizziamo anche noi che – nonostante i tentativi che durano da mezzo secolo – viene ancora per il 70-80% da fonti fossili. Per cuocere i cibi da anni l’ONU sta portando avanti iniziative per dotare le famiglie dei villaggi di stufe che funzionino con bombole di gas di petrolio liquefatto, quel GPL che anche da noi continuiamo ad usare nelle aree non raggiunte dalle reti del metano. È assurdo che continuiamo a proporre agli africani modelli di sviluppo basati sulle fonti rinnovabili quando anche da noi fanno fatica a sostituire i fossili. Obbligare a fare solo elettricità da fonti rinnovabili, con pannelli fotovoltaici, è ancora una volta condannarli alla povertà eterna. È ingiusto che paesi come il Mozambico, che esportano carbone e grandi volumi di gas naturale, non possano costruirsi centrali a carbone o cicli combinati a gas perché altrimenti non prendono finanziamenti dalle varie istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale, perché loro danno soldi solo a progetti sostenibili che non emettono CO2. Se non è carbone, almeno facilitiamo la realizzazione di centrali a gas che inquinano molto di meno e che possono in molti casi avere l’effetto positivo di evitare il gas flaring, la combustione a bocca di pozzo.
Queste riflessioni aprano la strada a una strategia molto semplice, magari un po’ complicata da attuare: quella di portare in Africa le imprese italiane che fanno gas, e noi una grossa ce l’abbiamo, assieme a quelle che fanno le centrali a gas. Tutte, peraltro, sono spesso all’estero, ma da sole. Ecco quello che dovrebbe fare il Piano Mattei: catalizzare le forze e fare squadra fra le imprese italiane per fare energia tradizionale, a gas, che ce n’è tanto in Africa, magari anche con attaccate le rinnovabili, in particolare il grande idroelettrico che da sempre gli italiani fanno. Questo sarebbe a beneficio delle nostre imprese all’estero e soprattutto della parte del mondo che ancora oggi scandalosamente non usa energia.
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