Il caso
Su esclusione Aspi ci siamo giocati anche la Corte Costituzionale
Con un comunicato stampa dell’otto luglio scorso, la Corte Costituzionale ha fatto sapere di aver rigettato la questione di legittimità costituzionale relativa alla esclusione di Aspi dalla ricostruzione del ponte Morandi. Il comunicato afferma, in proposito, che «la decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla estrema gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso». La Corte Costituzionale, dunque, ha ritenuto dirimente la «eccezionale gravità della situazione», tanto da consentire la deroga di principi fondamentali della Costituzione, quali quelli della presunzione di innocenza, della parità di trattamento, della libertà di iniziativa economica privata. Sono tutti principi contenuti nella prima parte della Costituzione e che nessuno dei progetti di riforma della stessa ha mai messo in discussione. E’ inevitabile, perciò, la sorpresa nel constatare che tali principi, sebbene fondamentali, possono essere derogati in presenza di situazioni di eccezionale gravità.
La sorpresa diventa, se possibile, ancora maggiore nel momento in cui si deve constatare che si tratta di un criterio, che la Consulta ha utilizzato in un’altra decisione recente, anch’essa emessa sotto la presidenza Cartabia. La sentenza è la n. 57 del 29 gennaio 2020 ed in essa si afferma la legittimità delle norme che conferiscono al prefetto il potere di adottare un’informazione interdittiva nei confronti delle imprese private, oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa. Questo perché, sempre secondo la decisione citata, pur comportando un tale atto un grave sacrificio della libertà di impresa, esso è giustificato dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso. In questo caso è la “estrema pericolosità” a giustificare la deroga ad alcuni principi fondamentali della Costituzione. L’Autorità amministrativa, perciò, sulla base di semplici sospetti può decretare la morte di un’impresa e di tutto il mondo che intorno ad essa vive e lavora.
Il nesso, tra le due decisioni, sta nel fatto che la Corte Costituzionale non è più Giudice della conformità della legge alla Costituzione, ma diventa anche Giudice che legittima la deroga alla Costituzione quando ci si trovi in situazioni di “eccezionale gravità” o di “estrema pericolosità”. Cosa, poi, debba intendersi per “eccezionale gravità” o per “estrema pericolosità” resta nel vago. Non lo dice la Costituzione e non lo dicono neppure le sentenze della Corte costituzionale. La inevitabile conclusione, allora, è che in Italia vi è una Costituzione, che garantisce i diritti fondamentali. Ma non si tratta di una tutela assoluta: essi possono essere violati quando la Corte Costituzionale ritenga che vi sia una situazione di “eccezionale gravità” o di “estrema pericolosità”. Dipenderà, perciò, da una sua valutazione assolutamente discrezionale e fondamentalmente autoreferenziale la effettiva tutela di quei diritti.
Eppure, il Costituente, consapevole di quale uso spregiudicato possa essere fatto di concetti come questi, aveva, nella prima parte della Carta, delineato un sistema di diritti assoluti ed inderogabili. Del resto, basta considerare l’ordinamento di qualsiasi dittatura per constatare che anche in tali ordinamenti i cd. diritti fondamentali sono sempre elencati in bella vista, salvo poi consentirne la deroga secondo le convenienze. Né appare rassicurante che la convenienza sia valutata da un organo giurisdizionale, atteso in primo luogo che la Corte è in larga misura di derivazione politica e, in ogni caso, che si tratta comunque di una lesione della Carta fondamentale, la quale non prevede alcuna deroga per la tutela di determinati diritti.
Non va nemmeno sottovalutata la circostanza che questo orientamento si manifesta in un momento nel quale l’Italia ha un presidente del consiglio che continua, invocando l’emergenza Covid, a richiedere per sé quei pieni poteri che, quando furono evocati da Salvini, suscitarono un giusto generalizzato coro di sdegno. Sabino Cassese ha severamente criticato la proroga dello stato di emergenza, rilevando, tra l’altro, la concentrazione di troppi poteri nella presidenza del consiglio. Tra emergenze, situazioni di “eccezionale gravità” e situazioni di “estrema pericolosità” la Repubblica disegnata dal Costituente non rischia di andare in malora?
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