Pubblichiamo, per concessione della casa editrice Marsilio, un estratto del libro “Terra nostra, Napoli la cura e la politica”, scritto da Antonio Bassolino e in libreria da giovedì. Un’attenta riflessione sullo stato di Napoli, sulle voragini da riparare e i rapporti da ricucire, tra le sue molte anime, con il resto del paese e le sue istituzioni. Un memoir politico senza sconti né censure per affrontare con passione immutata le nuove sfide della città. Il libro sarà presentato giovedì, alle 18, al Teatro Sannazzaro.

“Diciannove, nella Smorfia, la cabala napoletana che trasforma sogni e fatti in eventuali numeri fortunati, indica la risata. Ma, per me, anche e soprattutto san Gennaro, ricordando la data del martirio, del principale miracolo e della festa. Diciannove doveva trasformarsi per me in un numero simbolico. Diciannove sono le sentenze che mi hanno scagionato da tutto e liberato da un peso che poteva diventare insostenibile. Tutte assoluzioni e archiviazioni perché il fatto non sussiste. E la diciannovesima sentenza ha provocato in me un inestricabile intreccio di tristezza, l’opposto della risata, e una comprensibile soddisfazione. È stata la meta della maratona più lunga tra quelle che ho corso, la cima della scalata più faticosa della mia vita.

È il 12 novembre 2020 quando la Corte d’appello di Napoli decide l’assoluzione. Ero stato io a cercare una sentenza di assoluzione piena, rifiutando la prescrizione i cui termini, dieci anni dopo l’inizio dell’inchiesta, erano intanto scaduti. Ma la prescrizione non mi bastava, volevo andare fino in fondo, come è sempre stato nel mio stile. Non volevo macchie sulla mia vita politica e istituzionale, perché macchie non ce n’erano, volevo un’assoluzione nel merito, netta, precisa, insindacabile. Quest’ultimo processo era stato definito dalla stampa come quello delle «parcelle d’oro» e faceva riferimento a dei presunti pagamenti gonfiati a favore dell’avvocato amministrativista Enrico Soprano, quando ero presidente della regione. Un’inchiesta partita proprio pochi giorni prima della scadenza del mio mandato. Era l’ennesimo schiaffo che mi si dava, l’ultima tappa di una via crucis giudiziaria, un’inchiesta arrivata in zona Cesarini, come un viatico alla traversata del deserto che mi attendeva appena fossi uscito da Palazzo Santa Lucia.

Ma ormai ero abituato. Sebbene sempre più amareggiato e incredulo, non mi sarei arreso. Con rispetto verso la magistratura, ma sicuro delle mie azioni, non mi sarei fermato. E la mia perseveranza mi ha dato ragione. Non ho mai avuto dubbi sulla giustizia, perché sapevo di essere nel giusto. Man mano che passavano le ore, la giornata è poi diventata di forte serenità. Una serenità alimentata dal leggere, anche nei giorni successivi, le tante dichiarazioni, i numerosi messaggi, articoli, post, tweet di chi si congratulava con me, di chi se la prendeva con le lungaggini dei processi, con l’accanimento della magistratura. Io mi sono limitato a esprimere l’essenziale. Con piacere vedo che finalmente qualche autorevole rappresentante del Partito democratico, il partito che ho contribuito a fondare, esce dal silenzio che per undici anni è stato mantenuto sulla mia vicenda giudiziaria, politica, umana.

È che fa impressione anche il numero: diciannove. Ma è accaduto di più. Mi colpisce molto un’intervista di Giandomenico Lepore, capo della procura di Napoli dal 2004 al 2011. Un’autocritica che può essere racchiusa in una semplice frase: «Qualche errore l’abbiamo commesso». Per chi è stato per lunghi anni sulla graticola dei processi è una magra consolazione, non risarcisce perché non può risarcire. Ma chiarisce un atteggiamento della magistratura che dovrà necessariamente essere corretto. Questa sentenza arriva solo qualche mese prima della mia decisione di ricandidarmi a guidare Napoli. È stata decisiva? No, ma ha certamente influito, perché mi ha restituito tranquillità, permettendomi di concentrami sui veri temi che interessano Napoli. Potevo ritornare a correre, andare avanti”.

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