Il famoso film di Joe Johnstone si intitolava così: “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”, e parla di questi figli di uno scienziato geniale ed estroverso che accidentalmente, con uno dei suoi ordigni, li rimpicciolì nell’ordine dei millimetri. I suoi tre figli, durante tutta la pellicola, cercano di industriarsi per affrontare le avversità in un mondo molto più grande, pieno di minacce, tornare a casa e farsi notare da loro padre per poter porre rimedio all’incidente fantascientifico.

Ecco, quella era fantascienza. Il rimpicciolimento, invece, delle ambizioni europee nello scacchiere globale sono un fatto ineludibile, che ci espone a grandi rischi futuri e ad abdicare a un ruolo di gigante politico, di cui abbiamo tutte le potenzialità, nei dossier mondiali di un sistema multipolare che vede i Brics raddoppiarsi e lanciare una sfida, prima politica che economica: “ci siamo anche noi”, cantano in coro rivolti ai membri del G7, e qualcosa da dire ce l’hanno, eccome.

È bastato il disastroso conflitto in Ucraina per squarciare quel velo che ci impediva di vedere la nostra condizione di continente ancora, purtroppo, legato a dinamiche di un ordine mondiale che tenderà a non esistere più, unipolare, e che ci vede a traino degli Stati Uniti. Che sia chiaro, non è un male: l’Ucraina va difesa e sostenuta con tutte le nostre energie e i nostri mezzi, ma gli interessi specifici USA rimarranno pur sempre diversi dagli interessi Europei, che inevitabilmente finiscono sullo sfondo anziché poterli confrontare alla pari. Ciò perché siamo incapaci come UE di offrire al tavolo della geopolitica mondiale le 3 cose fondamentali per poter contare: una vera unione politica, un esercito comune e una politica estera unitaria.

Nessuno dice che siano semplici questi obiettivi, ci si lavora da anni e gli iter nel corso dei decenni hanno avuto più o meno fortuna, momenti di accelerazione e altri di brusche frenate, ma il tema rimane, ed è il tema dei prossimi anni, se non decenni: emanciparsi dal nano politico che continuiamo a rappresentare per poter diventare l’attore politico che grazie sia al suo soft power che hard power riesce a dire la sua nel nuovo mondo e riesce, non a sovrastare gli altri, ma a tutelare e promuovere la nostra visione del mondo, dell’uomo, di società, cercando il filo rosso che consenta alla comunità globale tutta di crescere in concordia e diventando finalmente solo competitor, non nemici.

Arrivati a questo punto della mia riflessione, vi starete chiedendo: “Ok, appelli triti e ritriti. Ma cosa fare?”.

Credo che noi possiamo e dobbiamo fare l’unica cosa che è in nostro potere per dare forza a questo processo e mettere in moto un percorso, magari lungo, ma che inesorabilmente porti a compimento il disegno di un’Unione Europea Politica; ed è quella di dar vita a un Partito per lo Stato.

Sì, un Partito per la Repubblica Europea, che ne promuova il progetto e ne custodisca l’anima. La storia ci insegna che in tutte le fasi dell’evoluzione sociopolitica della storia moderna, soprattutto dal 1500 in avanti, si arriva a un punto in cui la dimensione dei problemi e delle ambizioni che una società si trova ad affrontare è più grande degli effettivi strumenti istituzionali che si hanno in mano per fronteggiarli.

Da qui l’intuizione, tendenzialmente di qualche brillante componente dell’élite, che comprende l’esigenza storica di dar vita a una compagine politica che si ponga l’obiettivo primario di dare vita alla nuova forma di Stato e governo , necessaria per abbracciare le sfide che si porranno dinanzi nei decenni a venire.

È un po’ quello che è successo in Italia e Francia, ma anche in moltissimi altri contesti , dove la storia apre una finestra alla quale affacciarsi e iniziare a diffondere fra le masse il messaggio di speranza che possa combattere la frustrazione, derivata dall’impotenza che si prova a vivere in uno stato di cose che sembra arrancare e non riuscire ad afferrare e risolvere i problemi che affliggono la società.

Il Partito per la Repubblica Europea è, prima che una suggestiva impresa politica e un sogno che può forse iniziare a ridare speranza ai disillusi, una necessità che ha il sistema politico in Italia, ma anche in tutta Europa: un centro motore nella società che sia in grado di reggere agli urti, fare a sportellate se necessario, ma tenendo la barra dritta verso il nuovo orizzonte, consapevole che saranno altre classi dirigenti a raccogliere quel testimone, ma che senza questo sforzo, la fiaccola non arriverà mai in mano a chi completerà la corsa.

Una forza politica centrale in grado di affrontare i problemi e prospettare un futuro, avendo il coraggio di farlo seguendo sempre le coordinate che portano all’obiettivo ultimo, senza mai deragliare nei facili populismi o nei comodi conservatorismi di ambo i lati.

Un movimento di idee e di persone che non viva solo nel futuro, ma che renda il presente una dimensione capace di modellare ciò che sarà e dia gli strumenti ai cittadini per iniziare a vivere il sogno europeo, non solo immaginarlo, facendo i conti col proprio passato e diventando custodi del fuoco, più che devoti cultori delle ceneri.

Renew Europe è un piccolo germoglio, a mio avviso, di questo fiore destinato a sbocciare. Facciamo sì che possa sbocciare quando le elezioni europee dell’anno prossimo chiameranno a raccolta le centinaia di milioni di europei per scegliere in che direzione andare, parlando il linguaggio della verità e della credibilità: molti che non ci aspettiamo, soprattutto fra gli scoraggiati, ci seguiranno.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna