Mentre discutiamo di Israele e dell’Ucraina, nei Balcani la situazione comincia a diventare incandescente. Le ultime notizie sono allarmanti. Al confine con il Kosovo, la Serbia ha cominciato di nuovo a muovere truppe. Il presidente serbo Vucic sta solo aspettando il momento opportuno per ricominciare a creare “incidenti” fra i due paesi, come tra l’altro ammesso anche da lui stesso in uno dei suoi discorsi nazionalisti.
Nel frattempo, in Montenegro il governo rischia di nuovo di cadere, l’influenza russa è estrema e la chiesa ortodossa è la chiave di questo nazionalismo. Dal 2016, la Russia ha infatti utilizzato attacchi informatici e tentativi di colpo di stato per reindirizzare Podgorica verso la sua influenza,. Una deriva del Montenegro verso la Russia non significherebbe solo un fianco più debole della NATO (il Montenegro ne è membro dal 2017), ma anche la perdita di un alleato strategicamente posizionato che è diventato un forte leader regionale nella cybersicurezza.

In Bosnia ed Erzegovina, il nazionalista serbo Milorad Dodik continua con le sue minacce separatiste (nonostante le sanzioni imposte dagli Stati Uniti comincino finalmente a funzionare e lui non abbia più accesso al suo conto corrente). Le minacce attuali di Dodik, pronunciati pochi giorni fa, sono a dir poco inquietanti: chiede che i bosgnacchi dovrebbero accontentarsi del 25% del territorio dello stato. Ribadisce che a Srebrenica non c’é stato alcun genocidio, e che questo sarà presto dimostrato dalla relazione finale di un’apposita commissione storica che la Republika Srpska (una delle due entità della Bosnia ed Erzegovina) aveva istituito.
Insomma, uno scenario a dir poco terrificante. E in tutto questo l’Unione Europea ha capito il pericolo? Che cosa fa? Cerca di trovare una soluzione o rimane ferma nel proprio limbo?
No, al momento l’Unione europea continua a sostenere i ricatti della Serbia nei confronti del Kosovo; prima con l’Associazione delle Municipalità serbe, adesso con la questione dell’uso della valuta serba in Kosovo. È incredibile come sembra che in cima alle priorità europee ci sia il sostegno ad un governo serbo che non fa altro che provocare, invece di distendere.
Invece, servirebbero una nuova strategia e nuovi mediatori: Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione europea, e Miroslav Lajcak, Rappresentante speciale per i Balcani, hanno misuratamente fallito per quanto riguarda il Dialogo tra Kosovo e Serbia. Servono mediatori che sono tali e che riconoscano finalmente che anche la Serbia ha delle responsabilità e dei doveri, e non solo dei diritti.

Servirebbe una nuova strategia anche per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina: bene che i negoziati siano finalmente aperti, ma ora è tempo di spingere per l’implementazione delle sentenze della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; tutte, soprattutto quelle che riguardano le garanzie dell’uguaglianza dei diritti delle varie minoranze e dei cittadini che non vogliono dichiararsi etnicamente.
Una strategia nuova farebbe bene anche al Montenegro: c’è bisogno di che l’Unione Europea sia più reattiva a ciò che accade nel paese. Non basta più un semplice statement di condanna, servono azioni. Ora che le elezioni europee si avvicinano, è ancora più importante capire che l’Unione europea si trova a una svolta importante per quanto riguarda i Balcani: smettere di supportare gli autocrati come Dodik e Vucic, che hanno a cuore solo i propri interessi personali e rischiano di minare qualsiasi progresso nella regione, e cominciare con decisione a supportare le piccole democrazie (ed aiutarle a diventare democrazie complete, quando necessario).

Solamente capendo questo si potrà cambiare la situazione nei Balcani cambiando, per prima cosa, appunto l’approccio dell’Unione europea stessa. Solamente così potremo riconquistare la fiducia dei cittadini kosovari, albanesi, bosniaci, montenegrini, macedoni, e sì, anche quella dei cittadini serbi. Il titolo dell’articolo delinea uno scenario cupo. Tendiamo di solito a voler vedere il positivo e a chiudere gli occhi di fronte a uno scenario del genere. Purtroppo, ultimamente l’aria che si respira nei Balcani è diventata pesante, e la situazione è caratterizzata da un equilibrio troppo fragile. Con due guerre in Ucraina ed in Israele, non possiamo permetterci un terzo conflitto nei Balcani. Eppure, un tale conflitto sembra sempre più possibile.
I toni stanno aumentando, i due autocrati si stanno organizzando senza temere alcuna reazione seria da parte dell’Unione europea. Se non agiamo in modo determinato, è facile che tale situazione degenererà presto.
Spero che le elezioni europee porteranno un reset totale della politica europea sui Balcani, perché altrimenti, con le elezioni americane alle porte, rischieremo un default devastante. Dobbiamo cercare di salvaguardare il possibile, di elaborare un progetto serio che tenga conto di ciò che accade sul territorio e non chiuda gli occhi di fronte a chiari tentativi di sabotaggio dagli autocrati. Solo così potremo davvero recuperare quella credibilità che abbiamo perso negli anni.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.