Sono ormai oltre 25 anni che in Italia si è intrapresa la strada della flessibilità del lavoro, principalmente attraverso il ricorso a contratti a tempo determinato, ma anche con altre forme di contrattuali. Antesignana fu, al riguardo, la cosiddetta riforma Treu.

L’obiettivo era ovviamente quello di favorire la ripresa dell’occupazione, assicurando impieghi regolari anche se temporanei. E’ giunto il momento, tuttavia, di avviare una riflessione approfondita sulla disciplina che regola i contratti a tempo determinato e sulla sua concreta applicazione, dal momento che, dati recentissimi, ci dicono come nel 2022 ne siano stati attivati ben 8,5 milioni (il 46,5% dei quali non superava i 90 giorni); ciò evidenzia come ormai vi sia un ricorso esasperato, eccessivo a tale tipologia di contratto.

A tal riguardo non ci convincono, pertanto, le proposte finalizzate ad ampliarne ulteriormente i limiti di utilizzo, qualora esse comportino esclusivamente un ingiustificato rinvio della stabilizzazione del rapporto di lavoro, altrimenti possibile.

Il tema è di particolare attualità, posto che il nuovo Governo ha manifestato l’intenzione di affrontarlo; al riguardo la CISAL resta disponibile al confronto, soprattutto se verranno preferiti percorsi di regolamentazione in via contrattuale. Il problema della precarietà, ovvero della frammentazione dei percorsi lavorativi, assume nel nostro Paese una connotazione del tutto peculiare rispetto a tante altre realtà europee, presso le quali il mercato del lavoro è più fluido e operano meccanismi di ricollocamento e riqualificazione professionale efficaci che determinano comunque la sostanziale stabilità dell’occupazione del singolo, prescindendo dal tipo di contratto.

Francesco Cavallaro
Segretario Generale Cisal

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