L’America che resiste a Trump esiste ma è pietrificata dalla paura. Specialmente nella destra repubblicana che viene da una tradizione legata alla guerra fredda e al mito dell’esportazione della democrazia. E a sinistra? La sinistra per il momento è priva di leadership e soltanto il vecchio socialista Bernie Sanders vede la fine di ogni posizione politica che si richiami al liberalismo americano: “Stiamo marciando verso un regime autoritario che per ora è sostenuto da un’opinione pubblica prevalente e dobbiamo aspettarci solo il peggio”. Qualche debole segnale viene dai sondaggi che indicano un lieve malessere dopo il primo mese di monarchia trumpiana.

Il fattore umano

Che Trump persegua un suo disegno monarchico è evidente e sta lavorando per cambiare la costituzione affinché autorizzi il terzo mandato e soltanto per i presidenti che come lui ne hanno svolti due ma separati nel tempo. Il divieto per un terzo mandato fu imposto con una modifica della Costituzione dopo il lunghissimo regno di Franklin Delano Roosevelt, il quale aveva fatto temere una svolta monarchica nella più repubblicana delle democrazie. Oggi Trump vuole una legge ad personam su cui ci sarà una grande zuffa ma che alla fine sarà affidata al verdetto della Corte Suprema, in cui Trump ha una maggioranza. Ma la resistenza a Trump si vede nei diversi “circuiti” della giustizia americana dove molti “executive orders” firmati a raffica da Trump fin dal primo giorno della sua Presidenza, sono già stati resi inefficaci dalla magistratura americana cominciare da quello che nega la cittadinanza a tutti coloro che nascono sul suolo americano. I giudici hanno bloccato un tale ordine e l’amministrazione Trump è ricorsa in appello perdendo per la seconda volta. Quindi gli executive orders per ora hanno un valore solo simbolico, ma alla fine sarà la Corte Suprema a decidere ed è lì che Trump è sicuro di poter cantare vittoria. Ma il processo è lungo e le incognite sono legate al fattore umano sul quale nemmeno Trump ha il potere assoluto. I segnali di dissenso, sia pure timorosi ci sono. I senatori repubblicani, ad esempio, sono quasi tutti molto scontenti per le scelte di politica estera con cui Trump ha pugnalato alla schiena l’Ucraina attaccando gli ex alleati europei. La maggioranza dei senatori del Grand Old Party ha passato la vita combattendo sia la Guerra Fredda con l’Urss che le avventure militari di Vladimir Putin. I senatori si sdegnano ma a porte chiuse, quando si riuniscono con il segretario di Stato Mark Rubio e dunque capo della diplomazia americana, il quale tenta di rassicurarli e rassicurare anche gli europei raccontando la sua versione non ufficiale della politica di Trump.

La versione di Rubio

Rubio sostiene che le parole e i gesti filorussi di Donald Trump siano pura tattica. La machiavellica idea del presidente, secondo la versione non ufficiale di Rubio, sarebbe quella di togliere ogni pretesto alla Russia per costringere Putin a rinunciare ai colpi di mano e che quindi dopo l’apparente luna di miele fra Stati Uniti e Russia, verrà la resa dei conti e gli Stati Uniti potranno vincere l’imperialismo putiniano. Questa versione non ha altro sostegno che le parole di Rubio, peraltro non ufficiale ma fatte trapelare da incontri diplomatici. Il senatore John Thune, repubblicano del Sud Dakota e leader della maggioranza, ha tenuto una conferenza stampa a Capitol Hill dopo un incontro a porte chiuse dei senatori con il Vicepresidente JD Vance., i senatori repubblicani hanno il potere di autorizzare le spese militare.

La soluzione pilatesca

Si sa che la loro riunione con Vance è stata tempestosa ma il senatore Thune non ha voluto dire una parola sullo scontro con i veterani della guerra fredda. Ha preferito cavarsela con una dichiarazione pilatesca: “Siano a favore di una soluzione pacifica della guerra in Ucraina e fino a questo momento il presidente e la sua squadra di governo sembra che stia lavorando per raggiungere questo risultato”. Quando gli hanno chiesto di commentare le parole di Trump che definisce il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “un dittatore”, il leader repubblicano al Senato si chiama fuori: “The president speaks for himself”: il presidente parla per sé. John Thune per tre anni si è battuto per inviare a Zelensky decine di miliardi, ma adesso sia lui gli altri veterani della guerra alla Russia si è allineato con l’autocrate della Casa Bianca e dunque non si è sentita dal senato una parola di dissenso per l’ordine di Trump di togliere la parola “aggressore” riferito alla Russia in un comunicato del G7. È un dato di fatto che il Segretario di Stato Marco Rubio – uno dei più rampanti repubblicani di origine cubana e quindi di tradizione anticomunista e antirussa – stia tessendo una tela diplomatica per rassicurare gli alleati europei cercando di convincerli che l’atteggiamento filo russo di Trump è in realtà una trappola per i russi perché costringerebbe Putin ad abbandonare il suo piano di riconquista dei territori e zone di influenza ex sovietiche (Paesi baltici e Polonia) o ad affrontare l’ira degli Stati Uniti.

Una sola cosa è sicura: che Rubio agisca in perfetta sintonia con Trump, il quale ha assegnato ruoli precisi ai suoi uomini di governo: se Rubio strizza l’occhio agli europei antirussi, il vicepresidente Vance lavora per disossare i governi europei schierandosi con le minoranze di estrema destra in Germania e in Svezia. cosa che in Italia rende Matteo Salvini l’unico politico entusiasta, come l’ungherese Viktor Orbàn.
Quindi alla domanda iniziale, se negli Stati Uniti esista un fronte di resistenza a Trump, si può rispondere che si vedono segnali chiari ma molto timidi. Finora vale l’opinione di Bernie Sanders secondo cui mai l’America è stata minacciata come oggi da una furia autoritaria priva di contenuti ideologici e la sottomissione al Presidente di tutte le leve del potere.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.