Tutto è falso in questo romanzo, tutto tranne il dolore, uno strano dolore, del protagonista in balia di due donne che lui immagina di ingannare ma da cui è ingannato. È “Le Lupe” del formidabile duo Pierre Boileau e Thomas Narcejac, maestri del noir francese degli anni Cinquanta di cui Adelphi sta curando le uscite di vari romanzi. I due autori ebbero molta fortuna anche nel cinema, basti ricordare “Les Diaboliques” diretto dal grande Henri-Georges Clouzot, capolavoro assoluto del noir francese, e anche questo Le Lupe divenne un film con Jeanne Moreau. Giacché i libri di Boileau e Narcejac sono sceneggiature perfette fondate su personaggi memorabili e meccanismi psicologici paurosamente congegnati: come in questo romanzo assolutamente da leggere (come, lo ricordiamo, il precedente volume Adelphi, “I volti nell’ombra”).

Dicevano che tutto è falso in questo “Le lupe”, a disegnare atmosfere al limite dell’assurdo e al parossismo di una situazione infernale nella quale il protagonista Gervais si finge il compagno d’armi, morto, Bernard, ne prende il posto nella casa, e nel cuore, di Helene che vive con la strana sorellastra Agnes: le due donne accolgono Gervais e lo scambiano per Bernard! E lo stesso avviene poi con la sorella di quest’ultimo, Julia: «Mi sembrava di vivere contemporaneamente due vite e la cosa mi sfiniva. Ma la cosa che mi lasciava più esterrefatto era che quella donna riuscisse a trattarmi con tanta familiarità, a starmi appiccicata senza il minimo ritegno…». È tutto un gioco al massacro: lei, Helene, sa che Bernard non è Bernard ma un altro? E Agnes chi è veramente? Come il protagonista cieco de “I volti nell’ombra”, anche qui Gervais-Bernard non “vede” cosa gli si agiti intorno, sa solo immaginare, ipotizzare, ascoltare i rumori, arrovellarsi, cieco anche lui, prigioniero di due donne che non sono ciò che sembrano: ma cosa sono?

La magia di Boileau e Narcejac è naturalmente nella loro scrittura asciutta e nervosa (la traduzione è di Lorenza Di Lella e Francesca Scala) che rende a meraviglia la condizione claustrofobica del protagonista (e delle due donne), prigioniero in una Lione tetra e nemica: «Ora mi sentivo sotto sequestro. E la città era lo specchio di quell’appartamento ovattato, segreto, popolato di presenze. Quando uscivo nelle vivide mattinate d’inverno mi perdevo immediatamente in un dedalo di viuzze immerse nella nebbia in cui vagavano figure oniriche». Fino all’ultima pagina tutta la vicenda è puro mistero, perché il mistero è figlio della menzogna, e persino il disvelamento finale dell’enigma appare enigmatico, come l’esistenza e, soprattutto, la morte.