L’opportunità di ritornare sulla questione del crollo dell’arco borbonico in via Caracciolo, causato dalla forte mareggiata di inizio anno, consente di approfondire il tema della competenza relativa alla tutela dei monumenti e la delicata questione della valorizzazione e del decoro urbano in una città storicamente stratificata come Napoli.
In merito alla prima questione, sinteticamente, è noto a tutti che la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico italiano è assegnata dalla Costituzione al Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il turismo (Mibact). Tale tutela viene svolta sui territori provinciali e comunali dagli istituti periferici del Ministero rappresentati dalle Soprintendenze. A tali organi spetta il controllo per quel che concerne la protezione e la valorizzazione dei beni culturali e non certo alle amministrazioni comunali che dovrebbero, piuttosto, interessarsi del “decoro urbano” relativo a strade, piazze, parchi e giardini delle città, attività che rientra nella categoria del cosiddetto “progetto di suolo” e che ha fatto la fortuna di molte città europee di media e grande estensione.
Tema, quest’ultimo, che introduce all’approfondimento della seconda questione attraverso un esempio che sottolinea la difficoltà della gestione dei monumenti architettonici soprattutto quando questi sono inseriti in luoghi urbani caratterizzati da un potente “progetto di suolo” storicamente consolidato. L’arco borbonico rappresentava, infatti, l’unico manufatto settecentesco, un minuscolo approdo per i pescatori del retrostante promontorio di Pizzofalcone, inglobato nell’esteso progetto ottocentesco del lungomare occidentale di Napoli. Una lunga linea di costa artificiale che, dal Largo Sermoneta a Mergellina sino al Borgo marinari, si concretizza, tra il 1870 e il 1890, nello spettacolare muro parabolico realizzato in elementi lapidei di natura vulcanica e ubicato al di sotto del monumentale parapetto del marciapiede meridionale di via Francesco Caracciolo. Un’opera architettonica e infrastrutturale di rara bellezza punteggiato, da est a ovest, dall’ormai perduto arco borbonico, dalla Rotonda Vittoria, dalla Rotonda Diaz e dalla Rotonda di Largo Sermoneta. Ebbene di tale famiglia di rotonde ottocentesche, l’arco borbonico rappresentava il precedente architettonico, l’avo antico: una struttura voltata a tutto sesto, collocata parallelamente alla linea di costa ancora sabbiosa che, attraverso una ripida scalea, consentiva di arrivare a un piccolo molo semicircolare utilizzato dai pescatori di Pizzofalcone e Chiaja. Quello che è andato perduto è da intendersi quindi, come il prototipo delle successive rotonde ottocentesche del lungomare occidentale alle quali si aggiunge, a oriente del Castel dell’Ovo, anche quella intitolata ad Armando Diaz. Rotonda, quest’ultima, passata agli onori della cronaca, anni or sono, per il saccheggio di numerosi monoliti di pietra vulcanica asportati notte tempo da anonimi e vandalici sabotatori partenopei.
Di fronte a tali perdite, relative ai valori identitari della città nonché ai suoi caratteri di specificità unici ed irripetibili, quanto è utile l’individuazione della colpa o l’attribuzione delle responsabilità nella gestione dei beni culturali? L’episodio del crollo dell’arco borbonico rientra in una serie di tristi episodi che troppo spesso si ripetono nella nostra città, a prescindere dall’individuazione dell’ente colpevole della mancata gestione del bene culturale comune. L’Assessorato al Governo del territorio della Campania ha recentemente istituito, per volere dell’assessore Bruno Discepolo, l’Osservatorio regionale per la qualità dell’architettura, ovvero una struttura scientifica che osserva, protegge e valorizza l’architettura di qualità nello scenario territoriale ed urbano campano. Una struttura agile che dovrà mettere in campo energie virtuose appartenenti al mondo delle università, degli ordini professionali (architetti e ingegneri), a quello dell’associazionismo culturale e a organi collaterali del Mibact: un gruppo snello che dovrà provare a evitare tutto quello che di antiurbano e antiterritoriale penalizza sempre più spesso i beni architettonici e urbani nella nostra regione e soprattutto a Napoli. L’auspicio di questo inizio d’anno è quindi riposto nella speranza che altre istituzioni siano in grado di organizzare strutture per la qualità dell’architettura, quella contemporanea e quella del passato, affinché, insieme, si riesca a evitare danni insopportabili per la memoria e l’immagine dei luoghi in cui tutti noi viviamo.

*professore di Restauro dell’architettura presso l’università Luigi Vanvitelli

Paolo Giordano*

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