"Temo la fine di Zornitta", "Non darò il mio Dna"
Unabomber, dopo più di 20 anni per gli indagati continua l’incubo: “Ho paura che m’incastrino”

Sono in undici, gran parte pensionati, alcuni ultrasettantenni. Dieci di loro erano già stati iscritti e archiviati una ventina d’anni fa nel corso della vecchia indagine su Unabomber. Ora la procura di Trieste nell’inchiesta bis vorrebbe utilizzare le nuove tecniche scientifiche per estrarre tracce genetiche da dieci reperti di altrettante bombe piazzate in quegli anni, dal 2000 al 2007, per compararle con il loro Dna e con quelli inseriti nella banca dati.
A preoccuparsi (nuovamente) è, tra gli altri, uno degli indagati la cui posizione fu già archiviata nella prima inchiesta, ora pensionato: “Per me questa vicenda è sconvolgente, ora mi sento osservato anche se non c’entro nulla con quel disgraziato. E devo pure prendermi un avvocato per difendermi”.
L’uomo vorrebbe capire il perché che è riconducibile al sospetto di vent’anni fa, tramontato nello spazio di una perquisizione: “Capisco che potevo rientrare in quel profilo, ero perito chimico, abitavo in zona e vivevo da solo, come ora. Ma quando sono venuti hanno compreso bene che non potevo essere io. Non ho laboratori, sono volontario della croce rossa e non ho preso mai neppure una multa. E poi basta guardarmi per capire che non posso fare del male a una mosca”.
Ora il pensionato ha paura: “Io il Dna lo do ma non mi fido perché se vogliono incastrarti t’incastrano anche se sei innocente, basta vedere quello che è successo a Zornitta che abita non distante da qui, eh”. Come lui, così anche altri due cinquantenni della provincia di Pordenone: “Per me è stato uno choc – dice uno dei due che al momento si trova all’estero per lavoro -. Trovo assurdo che vadano a indagare sempre gli stessi, avevano già fatto tutte le verifiche del caso a quei tempi, che senso ha ripetere tutto di nuovo”, e sul Dna risponde: “Non lo so se lo darò, vedremo, se hanno delle prove sì, ma, insomma, ne devo parlare con il mio avvocato”.
Sarà l’avvocato Alessandra Devetag a difendere gran parte degli indagati: “Al momento sono avvocato d’ufficio, se qualcuno mi nominerà di fiducia spero di poter avere un perito che partecipi alle analisi. Sempre che qualcuno voglia assumersi gli oneri di una difesa tecnica che qui sarebbe necessaria. Io penso che abbiano sbagliato a procedere in questo modo, senza tener conto di cosa significhi per queste persone, tutte di una certa età, tornare sotto indagine. Cioè delle ripercussioni psicologiche della vicenda. Io sono in contatto con uno di questi che già aveva sofferto in maniera indicibile all’epoca della prima iscrizione e che ora sta rivivendo lo stesso incubo: lui non parla, non ce la fa, e ha perso 5 chili da quando gli hanno notificato l’atto, il mese scorso”.
Devetag poi fa un appunto sull’indagine bis e sul nuovo nome che è spuntato, oltre i dieci che erano già stati indagati: “Trovo allucinante che sia stato concesso a dei giornalisti di entrare in magazzino e di aprire i reperti senza tute e guanti”, e aggiunge: “Ho evidenziato la fragilità delle presunte prove a suo carico e il fatto che prima di un’indagine sul Dna si potevano fare altre cose. E solo nel caso in cui fossero emersi degli indizi si sarebbe dovuto procedere con l’indagine genetica”. Così il sessantenne che entra per la prima volta nell’inchiesta bis: “Non ho fatto nulla di male e non voglio dovermi giustificare”, mentre la moglie è certa: “Dormo con lui dal 2004, figuriamoci se non mi sarei accorta di qualcosa”.
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