Bisogna risalire ai contrasti tra Cesare Merzagora, ai tempi presidente delle Generali, ed Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca prima azionista della Compagnia, per trovare un riferimento storico che possa avvicinarsi al conflitto ora scoppiato nel consiglio di amministrazione del Leone di Trieste. Prima si è dimesso Franco Caltagirone che delle Generali è stato Vice presidente, poi lo ha fatto Romolo Bardin, consigliere, di estrazione della Delfin di Leonardo Del Vecchio, membro del Patto di consultazione. Quest’ultimo, che comprende Caltagirone, lo stesso Del Vecchio e la Fondazione Crt, raggiunge oltre il 16 per cento delle Generali, mentre Mediobanca si attesta al 17 per cento circa, ma con titoli presi in prestito per oltre il 4 per cento.

Il contrasto, nella Compagnia, è nato per le decisioni di una parte – che comprende l’amministratore delegato, il francese Philippe Donnet, e una serie di azionisti fra i quali Mediobanca – favorevoli alla presentazione, per il rinnovo delle cariche aziendali nel prossimo mese di aprile, di una lista formata dal consiglio di amministrazione uscente, una scelta, questa, avversata, innanzitutto, da Caltagirone e criticata per l’autoreferenzialità e l’autoperpetuazione. Poi il contrasto si è allargato ai temi strategici e all’intento dei fautori della lista del consiglio di proporre il rinnovo della nomina, per un altro triennio, dell’amministratore delegato che, invece, viene ritenuto non confermabile dai componenti il Patto. A un certo punto, però, la tensione, in quella che un tempo era considerata l’unica multinazionale italiana, è salita con le predette dimissioni.

Queste rendono liberi i dimissionari di acquistare le azioni della Compagnia senza l’osservanza delle norme a cui gli amministratori sono soggetti – dunque, si potrebbe ipotizzare che gli acquisti continueranno – ma soprattutto costituiscono, accompagnate come sono da motivazioni particolarmente dure in specie nel caso di Caltagirone, una forte contestazione del comportamento complessivo della società. L’imprenditore romano, che afferma di essere stato impedito e osteggiato, muove una serie di rilievi e di “accuse” e adombra, con abile linguaggio, l’influsso esterno sul consiglio di amministrazione. Anche il consigliere Bardin, sia pure con espressioni diverse, avanza critiche e rilievi.
Con la vicenda si intreccia il ruolo delle Authority competenti in materia. Sulla lista del consiglio, che è prevista pure dallo statuto del Leone, Caltagirone aveva chiesto il parere della Consob, la quale ha promosso sull’argomento – giustamente trasferendo la questione su di un piano generale, escludendo, invece, una semplice “a domanda risponde” – una consultazione pubblica, i cui risultati sono ora all’esame della Commissione.

Potrebbe scaturirne un indirizzo con validità erga omnes, come fonte normativa ovviamente subordinata, che agisca sulle condizioni e sui vincoli di una lista del consiglio, non sulla sua ammissibilità che è, invece, prevista dalla legge. A maggior ragione perché, per promuovere modifiche e innovazioni in materia, sono state avviate iniziative legislative. È prevedibile che, a breve, la Consob impartirà l’indirizzo di cui si è detto. Bisogna, però, prevenire il rischio che il contrasto nelle Generali venga paradossalmente colto come occasione per alimentare posizioni contro la Consob o disegni che, di tanto in tanto, si ripetono per impraticabili modifiche nel collegio di vertice dell’Autorità presieduto con credibilità e prestigio da Paolo Savona. Altra cosa è l’intervento, inevitabile dopo le critiche di Caltagirone innanzitutto, dell’Organo di Vigilanza sulle assicurazioni, l’Ivass, volto a riscontrare tempestivamente il fondamento delle ragioni addotte per le dimissioni, che l’altra parte dei contendenti, però, respinge. Un chiarimento completo, con l’adozione eventuale delle misure doverose, si impone. Una parte della verifica al riguardo, per quel che attiene alla correttezza e alla trasparenza nei confronti del mercato, compete anche alla Consob.

Va aggiunto che Del Vecchio con la sua Delfin e Caltagirone posseggono rispettivamente il 19 per cento circa e il 3 per cento di Mediobanca, sulla carta, per ora, la prima degli azionisti delle Generali. Un intreccio sul quale, a livello programmatico, sarà opportuno che vengano fornite indicazioni. E qui veniamo al punto nodale: la “battaglia” in corso deve spostarsi, pur senza abbandonare gli aspetti giuridici e comportamentali sinora seguiti, sulla qualità delle strategie che vengono proposte dal Patto, dopo il piano presentato nei mesi scorsi da Donnet, nonché delle candidature per il rinnovo della governance, come ha iniziato a fare la parte fautrice della lista del consiglio. È su questo terreno che si dimostra di non inseguire soltanto un “utile particulare”, ma di guardare agli interessi della società, a un suo protagonismo anche in Europa dove è nettamente sopravanzata da Allianz ed Axa, alla posizione di tutti gli “stakeholder”.

È così che si potrà competere per avere l’adesione della stragrande maggioranza di azionisti che non fanno riferimento né all’una né all’altra parte. Crescita di valore per l’azionista, sì, ma anche coerenza con gli interessi generali, ora che questo legame viene di norma visto e condiviso anche da associazioni imprenditoriali americane. Insomma, si colga questa confrontation per un complessivo avanzamento, non per uno scardinamento che a qualcuno piacerebbe, in maniera sadomasochistica, toccasse pure la Consob.