La Val Badia, probabilmente, non ha bisogno di tante presentazioni. Da decenni oramai è assurta a rango di località turistica di eccellenza, vuoi per le sue indubbie bellezze naturali, vuoi per le strutture ricettive che, con sapiente e costante ammodernamento, hanno saputo rispondere alle richieste di turisti sempre più numerosi e sempre più esigenti. L’ospitalità, qui, è davvero un fiore all’occhiello. Estati e inverni registrano regolarmente il tutto esaurito. Eppure, oltre gli ampi e attrezzatissimi comprensori sciistici, oltre le innumerevoli possibilità di passeggiate a valle, di gite in alta quota e di impegnative pedalate lungo strade e sentieri panoramici e suggestivi, al di là di eventi mediatici quali la Maratona dles Dolomites o le gare di Coppa del mondo di sci (lo slalom gigante maschile della Gran Risa, a La Villa, e quello femminile sull’impegnativo tracciato della Erta, a San Vigilio di Marebbe) esiste una Val Badia più nascosta, quasi intima, depositaria di memorie ancestrali che trovano espressione nei miti e nelle leggende che si tramandano di generazione in generazione, e una Val Badia teatro di eventi bellici drammatici, di cui è andata riscoprendo le testimonianze da qualche anno a questa parte.

Ma è giusto iniziare il nostro viaggio alla scoperta della Val Badia più nascosta, e perciò più autentica, dicendo che la popolazione locale parla il ladino, un’antica lingua neolatina che è riuscita a conservarsi nei secoli grazie all’isolamento del territorio, che comprende tutte e quattro le valli che dipartono dal massiccio del Sella, secondo le direttrici cardinali, e in cui vivono oggi 30.000 persone, i ladini appunto, suddivisi però in due regioni (Trentino – Alto Adige e Veneto) e tre province (Bolzano, Trento e Belluno). Questo è il retaggio del governo fascista che esattamente 100 anni fa decretò lo smembramento della comunità ladina, considerando la sua specificità linguistica come una “macchia da cancellare”. A scorno delle decisioni di allora possiamo però constatare che il ladino è vivo e vegeto, grazie alla caparbietà dei parlanti e grazie soprattutto alla tutela e alla promozione di cui la lingua e la cultura godono, in virtù dello Statuto di Autonomia stipulato all’indomani della seconda guerra mondiale, in seno agli accordi internazionali di pace, per tutelare la minoranza tedesca dell’Alto Adige, annessa suo malgrado allo Stato italiano. Dei benefici dell’Autonomia godono anche i ladini della provincia di Bolzano, in quanto minoranza linguistica riconosciuta, quindi la Val Badia, dove – per fare solo qualche esempio – tutta la scuola è trilingue, le lezioni cioè vengono impartite in ladino, italiano e tedesco; dove opera un Istituto culturale che codifica e norma la lingua, producendo vocabolari e grammatiche, stampando libri e riviste a carattere scientifico e letterario; dove la sede Rai “Ladinia” trasmette quotidianamente due edizioni del telegiornale e del radiogiornale in ladino, assieme a molti altri programmi culturali e di intrattenimento; e dove l’amministrazione pubblica e la liturgia si esprimono in ladino.

Il turista che arriva in Val Badia per una breve vacanza non sempre si rende conto di questa vitalità linguistica né della vivacità culturale che contraddistingue la popolazione ladina. Forse prende atto con più facilità della notevole qualità dei prodotti artigianali e della raffinatezza delle costruzioni edilizie, oppure dell’anima artistica rintracciabile nelle opere realizzate in laboratorio ed esposte in tanti luoghi, al chiuso o all’aperto, e che ben si amalgamano con la bellezza del territorio. Sono stati aperti al pubblico, da alcuni anni, due importanti percorsi espositivi di opere d’arte, all’aperto, lungo le passeggiate nei boschi di La Villa e San Martino, e non è raro imbattersi in installazioni artistiche nei luoghi più disparati e impensabili della Val Badia, su libera iniziativa degli artisti, da una parte, ma collegate tra loro da un coerente progetto di valorizzazione culturale, dall’altra.
D’altronde la sensibilità e l’attenzione per la bellezza fanno parte del Dna del territorio: fatta salva l’ordinaria amministrazione in tema di tutela urbanistica e paesaggistica, saltano immediatamente all’occhio del turista la cura dei prati, con il loro sfalcio regolare e ripetuto, le tante verande e i balconi fioriti, le aiuole variopinte nei centri di paese e lungo le passeggiate. La mano dell’uomo asseconda ed esalta le manifestazioni di una natura assai generosa di suo.

Ma per tornare a quanto si diceva all’inizio, la vita quotidiana dei ladini della Val Badia è permeata di miti e di leggende la cui origine si perde nella notte dei tempi. Si tratta di un patrimonio millenario di straordinario valore culturale, originariamente tramandato a voce, oggi ravvisabile in molteplici espressioni culturali quali la letteratura, le arti figurative, la musica, il teatro e anche il cinema, oltre che nella toponomastica e nell’onomastica.
Soltanto a partire dalla fine del 1800 i primi intellettuali ladini hanno dato forma scritta alla miriade di racconti intrisi di mito e leggenda, ed essi vanno assolutamente considerati quali elementi vivificanti dell’orizzonte culturale ladino, e non possono certo essere ridotti a folklore o a semplice rievocazione nostalgica di un passato svanito. Le leggende ladine custodiscono e tramandando valori spirituali schietti, visioni del mondo profonde e articolate, strumenti cognitivi che attraverso i secoli hanno forgiato e forgiano tuttora la creatività e la sensibilità della popolazione. All’inizio del XX secolo lo studioso Karl Felix Wolf ha assemblato una raccolta sistematica delle leggende ladine (disponibili nella pubblicazione Il regno dei Fanes oppure in I monti pallidi. Leggende delle Dolomiti) dalle quali si evince che realtà e leggenda, fantasia e contingenza, si intrecciano senza soluzione di continuità, senza che sia possibile stabilire un confine netto e definitivo tra le due dimensioni. Come detto, suggestioni, immagini e contenuti di queste leggende continuano a rappresentare un’inesauribile fonte di ispirazione per artisti e cantanti, poeti e autori, e stanno alla base dell’immaginario della coscienza culturale dei ladini.

Ma dalla leggenda torniamo alla storia. Se i ladini godono di uno Statuto di Autonomia speciale, c’è un perché. Nel fitto groviglio di persone, fatti e luoghi che lasciano un segno nel tempo e diventano storia, anche la Val Badia ha avuto il suo posto e il suo peso. Anch’essa, incolpevole, è stata scenario delle sanguinose vicende della Grande guerra. Vicende ancor più drammatiche per i ladini, perché il fronte italo-austriaco spezzò in due il loro territorio. All’indomani della dichiarazione di guerra le truppe italiane occuparono il territorio di Pieve di Livinallongo e di Cortina d’Ampezzo, cercando di risalire le Tofane, la Val di Travenanzes e il Passo Falzarego, mentre l’esercito austriaco si pose a baluardo del Passo Valparola e del Col di Lana. La Val Badia si trovò così tra due fuochi, e mentre gli uomini abili venivano reclutati nell’esercito austroungarico, i loro paesi subivano rastrellamenti e saccheggiamenti di ogni genere, e quello che avrebbe dovuto essere un conflitto lampo, si trasformò ben presto in una guerra di postazione e di logoramento, dove spesso si moriva di più a causa di stenti e agenti atmosferici che a causa del fuoco nemico. In poco più di tre anni di guerra, oltre 10.000 soldati, tra italiani e austriaci, morirono per il freddo o per le valanghe. A perenne ricordo di quell’immane tragedia rimangono, impietose, le cicatrici nelle montagne: centinaia di gallerie e chilometri di trincee, risistemate dall’esercito italiano in occasione del centenario della Grande guerra. La Val Badia è anche questo: la Via della pace, sull’alpe di Fanes, le gallerie e i casamenti del Sas de Stria e del Lagazuoi, il museo della guerra, sul Passo Valparola, il piccolo e suggestivo cimitero militare, poco sopra San Cassiano. Testimonianze, seppur fuori mano, di una storia che è anche la nostra.

 

Daniel Afreider

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