Il caso
Ventotene, la straordinaria valenza storica di un progetto politico figlio del suo tempo

In oltre 25 anni di frequentazione di salotti buoni e meno buoni, dove si discuteva di politica europea, è stato difficile terminare una riflessione senza che qualcuno tirasse in ballo il Manifesto di Ventotene, senza peraltro necessariamente averlo letto. Possiamo ritenere che tale citazione fosse spesso strumentale a terminare il discorso, conferendo all’autore una patente di uomo colto e di mondo dotato di una desueta preparazione storica. Più raramente si è entrati nei contenuti del documento stesso, peraltro più volte rielaborato dagli stessi autori. Per i pochi che non lo sapessero, il Manifesto – redatto nel 1941 – rappresenta il frutto di un’elaborazione politica compiuta da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel periodo in cui vennero confinati per motivi politici sull’isola di Ventotene, di fronte al carcere che si trovava invece sulla limitrofa isola di Santo Stefano. È probabile che in questa scrittura – poi rivisitata e articolata in capitoli – abbiano trovato cittadinanza pensieri e riflessioni degli altri confinati, tra i quali ricordiamo Eugenio Colorni. Giova ricordare che, nel periodo in questione, l’isola ospitava centinaia di persone, la gran parte dei quali definiti comunisti, altri anarchici e altri ancora socialisti. Alla diffusione del testo contribuirono significativamente anni dopo Ursula Hirschmann e Ada Rossi.
Il valore di Ventotene
Considerata la genesi e gli estensori, non ho mai ritenuto che tale documento potesse costituire la bussola di governi di centrodestra seppur provatamente europeisti. Detto ciò, il testo ha sicuramente una straordinaria valenza storica ma non è la Bibbia, che pure in alcuni brani dell’Antico testamento si presenta di ostica interpretazione. Già nelle prime battute, il documento – pur definendo l’indipendenza nazionale come un potente lievito di progresso idoneo a superare i campanilismi, favorendo la libera circolazione di uomini e merci – con un salto logico comprensibile ma opinabile diviene portatore dei germi del nazionalismo imperialista e poi si arriva fino agli Stati totalitari e alle guerre mondiali. Parte da ciò la condanna della nazione, divenuta entità divina che deve pensare solo alla propria esistenza e al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. È evidente che la riflessione va contestualizzata e declinata sulla condizione dei redattori della carta. Infatti partendo da qui si giunge alla condanna della Germania nazista, sicuramente corretta ma difficilmente collegabile ai presupposti iniziali che – a onor del vero – avrebbero dovuto caratterizzare anche gli altri Paesi, definiti in maniera ben diversa: la “coraggiosa combattività della Gran Bretagna”. Allo stesso modo è storicamente da inquadrare la parificazione della lotta contro l’imperialismo tedesco a quella che il popolo cinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.
Gli altri contenuti
Non possiamo stupirci che gli autori del Manifesto, considerata la loro matrice politica, auspichino una rivoluzione europea socialista con riferimento all’emancipazione delle classi lavoratrici. Ma va considerato che il paragrafo successivo è dedicato alla critica del modello sovietico. Se poi guardiamo alla proprietà privata, l’auspicio è che questa venga abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa riflessione – seppur difendibile dal punto di vista teorico – mal si presta a una declinazione normativa, e infatti solo pochi anni dopo (nel 1947) assisteremo in Assemblea costituente a uno straordinario dibattito tra le forze liberali, socialiste e democratico-cristiane che porterà a quel capolavoro di sintesi costituito dall’articolo 41 della nostra Costituzione. Se vogliamo poi proseguire con l’auspicio dell’abolizione del Concordato, è appena da notare che il livore contro la Chiesa cattolica non costituisce un buon consigliere per gli estensori del Manifesto. Il Concordato resisterà alla storia, e sarà proprio un presidente del Consiglio socialista ad avere la ventura di ridefinire i confini nel pieno degli anni Novanta. Bisogna inoltre notare che nelle riflessioni ci si rivolge anche direttamente ai comunisti, chiarendo come una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.
Un progetto politico figlio del suo tempo
Insomma, il Manifesto di Ventotene è un progetto politico figlio del suo tempo; alcune parti hanno mantenuto attualità, altre meno. E lo stesso Spinelli – prima eurodeputato e poi commissario, sconfessato dai federalisti più rigidi – ha avuto straordinarie difficoltà a imporre il suo modello. La realtà è che oggi questa Europa avrebbe bisogno di uno scatto in avanti e di avviare una riflessione per la scrittura di una vera Costituzione europea, ma questo non si può riassumere in poche battute.
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