La versione a senso unico
Via Rasella avvolta da troppe nubi, in tv va in onda la disinformazione storica perché “sappiamo come è andata”
I presunti esperti concentrano tutta l’attenzione sulla “memoria delle Fosse Ardeatine” perché sul 23 marzo 1944 è già tutto noto. Sappiamo così tanto che, dopo 81 anni, non conosciamo né il numero dei gappisti entrati in azione né il bilancio delle vittime civili

Com’era prevedibile, nel doppio anniversario dell’attentato dei Gap del Partito comunista a Via Rasella (23 marzo ’44) e della rappresaglia nazista alle Fosse Ardeatine (24 marzo) con la distruzione dell’“altra Resistenza”, ha brillato per amnesia l’“informazione storica”, chiamiamola così. As usual. Anzi no, un passo avanti c’è stato. Lunedì sera nel programma di Paolo Mieli, ospite il professor Alessandro Portelli, “Passato e Presente” (e poi a loop) su Rai Storia è andata in onda la rimozione. Tutta l’attenzione è stata concentrata sulla “memoria delle Fosse Ardeatine”.
E Via Rasella? Non c’è bisogno di parlarne. Perché “sappiamo come sono andati i fatti”, spiega lo storico Portelli. Sappiamo i fatti a tal punto che, dopo 81 anni, non conosciamo ancora il numero dei gappisti entrati in azione (negli anni è oscillato dai 9 ai 17…). Non conosciamo il numero delle vittime civili. Per ammettere la morte di Piero Zuccheretti, 12 anni, dilaniato dalla bomba dei Gap, c’è voluto mezzo secolo e che il sottoscritto inciampasse nelle immagini evocative dello scempio del suo corpo. E che ci fa il cadavere di Antonio Chiaretti, capo nucleo di Bandiera Rossa, che si cercò prima di far passare tra i trucidati alle Ardeatine e poi sbrigativamente come “fucilato dai tedeschi” il 23 marzo, ma dalla scheda anagrafica risulta inequivocabilmente “morto per scoppio di bomba”, e la cui memoria è stata completamente sbianchettata?
La versione ufficiale, diciamo così, a mano a mano si arricchisce di aggiustamenti assertivi. Da qualche tempo va di moda attribuire l’attentato di Via Rasella niente meno che, in senso lato, agli “ordini degli Alleati”. Tesi ribadita dal prof. Portelli. Aldo Cazzullo (“Una giornata particolare” su La7) ha fatto di più. Ha accennato direttamente agli ordini dati dal Generale Clark, comandante della V armata americana che risaliva l’Italia, “in costante contatto con il Cln”. E le fonti? Ecco, fa un po’ sorridere l’idea del Generale Mark Clark, che aveva ben altre grane (Monte Cassino, un’avanzata dopo Anzio molto più lenta e sanguinosa del previsto anche per i suoi errori), “in costante contatto” con il Comitato nazionale di liberazione. Il Cln non raggruppava neppure tutti i partiti antifascisti. E di certo al Cln sapevano un’acca, escluso il Partito comunista, dell’attentato di Via Rasella.
Negli archivi dell’Oss (Office of strategic service, il “papà” della Cia) ho trovato la relazione di Peter Tompkins, l’agente segreto americano inviato a Roma durante l’occupazione tedesca; l’ho pubblicata quasi integralmente nel mio ultimo libro (“La Trappola – Oltre Via Rasella”). Dal primo incontro, racconta Tompkins, alle forze della Resistenza romana aveva spiegato: “Gli ordini del Generale Clark sono: cercare di tagliare tutte le strade intorno a Roma, interrompere le comunicazioni, scoprire e tracciare i campi minati lasciati dai tedeschi”. Ancora più chiaro nel secondo incontro, quando illustra i compiti operativi affidatigli dal Generale Donovan, capo dell’Oss, il suo capo: “Poco prima della mia partenza mi aveva detto che il Comando alleato non voleva un’insurrezione armata a Roma né qualsiasi combattimento strada per strada tra nazifascisti e i vari gruppi partigiani, ma voleva una sistematica azione di sabotaggio e contro-sabotaggio” oltre a un capillare servizio informativo, fondamentale, sui movimenti delle truppe tedesche. Di più, Tompkins accenna a un ordine segreto dato ai carabinieri perché, se fosse stato necessario, fermassero i gruppi armati dei partiti. Non a caso, le stesse direttive che vietavano gli attentati diramate, a dicembre ’43, dal colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, capo del Fronte militare clandestino, prima di essere arrestato e di finire alle Ardeatine.
Come si concilia con questi ordini l’azione di Via Rasella? Dell’“obiettivo militare”, cioè il reggimento “Bozen” di polizia territoriale preso di mira dai Gap, magari parleremo un’altra volta: tornavano dall’esercitazione di tiro perché non avevano finito l’addestramento, cioè non sapevano nemmeno sparare. A me i superstiti hanno raccontato (ho ritrovato anche l’audio e ho pubblicato qualche primo, breve stralcio) che marciavano con i fucili scarichi, vecchi moschetti presumibilmente del 1895 o giù di lì. L’“azione di guerra” o “atto di guerra” di Via Rasella, come è stato ripetuto pedissequamente nei 40 minuti della puntata, una volta per tutte ci spiegano quale scala gerarchica ha disceso: chi l’ha pianificata, chi l’ha ordinata, chi l’ha autorizzata, nome e cognome, grado (i partigiani poi furono equiparati a combattenti), chi si è assunto la responsabilità della carneficina? Il Pci “si era mosso con disinvoltura”, come ha ricordato lo storico Vittorio Vidotto, “sottovalutando i rischi di rappresaglia, che pure rientravano fra le prospettive concrete”, nella migliore delle ipotesi.
Un’ulteriore, non ultima, amnesia. Nella puntata buona parte dell’attenzione, giustamente, è stata concentrata anche nei dettagli sull’opera tremenda di esumazione dei martiri delle Ardeatine affidata dagli Alleati al professor Attilio Ascarelli, medico ebreo, già anziano. Ma non si è fatto il minimo accenno all’attività parallela di Ascarelli. Perché il vecchio medico, che qualcosa doveva aver captato, affidò alla polizia scientifica il compito di redigere, oltre alla scheda necroscopica, una doppia scheda con la biografia della vittima, in cui veniva specificato anche l’attività svolta e a quale formazione apparteneva. Arrivò a farne compilare 291 (su 335), fino a quella di Pilo Albertelli, capo del Partito d’azione (scheda non redatta). E qui si fermò perché semplicemente gli fu impedito di andare avanti.
Quelle schede erano destinate alla pubblicazione. Ma sono rimaste nascoste fino al 2012, quando sono state portate alla luce non dagli “storici” ma dal medico legale Mariano Cingolani (insieme a Cecilia Tasca e Martino Contu) dell’Università di Macerata, alla quale la vedova Ascarelli aveva donato l’archivio nel ‘67. Da quelle schede si delineava da allora l’enormità che grava sulla vicenda Via Rasella/Fosse Ardeatine. Nella rappresaglia seguita all’attentato furono annientate le formazioni non comuniste: il Fronte militare clandestino, il Partito d’azione, Bandiera Rossa e organizzazioni minori come l’Unione democratica di Placido Martini, avvocato e gran massone. Come si fa? Si gira pagina del calendario e si va al 24.
Ma con questa enormità dobbiamo fare i conti. Difficile farli, se in cattedra sale la reticenza. P.s., a proposito: questa versione a senso unico continua ad andare avanti sulla tv pubblica, e senza una parvenza di contraddittorio. Possibile, dopo 81 anni?
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