Tira una brutta aria nelle scuole italiane. Professori aggrediti e umiliati, addirittura presidi malmenati. E tutto questo non in rare ed isolate occasioni ma per numeri da far impallidire. Sembra infatti, e qui arrotondo per difetto, che negli ultimi dodici mesi, tra professori e dirigenti scolastici, siano finiti al pronto soccorso in più di cento. La media delle violenze, piccole o grandi che siano, racconta di un episodio ogni due giorni. Insomma, uno sfacelo totale.

Credo sia di immediata evidenza che parliamo di un fenomeno ormai fuori controllo, che rappresenta uno scollamento tra i giovani e l’istituzione della scuola nel suo complesso che va ben oltre la disaffezione, la mancanza di rispetto e di pudore e la cattiva educazione. Siamo di fronte al tragico affresco della condizione di un’istituzione che inevitabilmente riflette i tempi in cui viviamo, i modelli ai quali i più giovani fanno riferimento e, aspetto più importante di tutto, il progressivo svilimento della figura dei docenti. A queste aggressioni si sta rispondendo con l’inasprimento delle sanzioni disciplinari, sollecitate a tutti i livelli e sempre più caldeggiate dalle associazioni di categoria.

Tuttavia, le sanzioni possono incidere sul problema solo in modo relativo, e io sinceramente sono poco ottimista riguardo la loro efficacia. Restano giuste, più che opportune, perché è bene che questi intemperanti giovanotti percepiscano le conseguenze dei loro atti. Ma poi? La chiudiamo così? Sostituendo il registro scolastico con un blocchetto delle contravvenzioni? No, non può funzionare, perché il problema è complesso e non riguarda esclusivamente i ragazzi. Non si tratta di un gran mistero, e per capire dove nasca il problema, basterebbe unire i puntini rappresentati da alcune notizie che negli ultimi mesi hanno occupato il fugace tempo di un titolo.

La prima riguardava un rapporto dell’Ocse che ha indicato l’Italia come il paese occidentale nel quale i professori sono in assoluto più poveri. E poi, dopo solo poche settimane, a mettere un altro puntino che bisognerebbe collegare agli altri è intervenuta la Corte di Giustizia Europea: che ha deferito l’Italia per il numero, inaccettabilmente elevato, di precari impiegati nelle nostre scuole. Insomma, i ragazzi che tirano le palline ai professori, quando non fanno di peggio, non sono certo i primi a maltrattarli. Sono giovani, incoscienti, spesso completamente fuori binario, ma non così ingenui da non comprendere che i loro docenti sono ormai relegati a un ruolo marginale nella società. Non li rispetta nessuno – questo vedono – perché mai dovrebbero farlo loro? Guadagnano poco, molti sono frustrati dalla loro condizione di precarietà: quale giovane cresciuto a fette di smartphone vorrebbe prendere il loro posto? Quale piccolo sbandato potrebbe mai prenderli a modello e rispettarne non la già scarsa autorità, ma l’ancora più evanescente autorevolezza?

Credo si possa dire che, nel passare dall’estremo delle bacchettate d’altri tempi sulle mani dei ragazzi ai calci che prendono i professori d’oggi, ci siamo persi qualcosa nel mezzo. E quel qualcosa è la dignità della docenza, che non consiste solo nella possibilità di irrorare una sanzione, ma molto più nella collocazione sociale di un ruolo che ora sembra perduto.