Il risorto fotoromanzo salverà il racconto giornalistico, se non addirittura l’informazione stessa! Chissà che proprio da questo, già, dal fotoromanzo, felicemente fatto appunto risorgere da un giornale quotidiano espressamente votato alla libertà, non possa giungere una definitiva e dirimente risposta alla noia e all’usura dei talk show televisivi dove si tratta di politica, gli stessi che avviliscono l’innocente spettatore in cerca comunque – povero illuso – di un bandolo logico. Facendo così giustizia d’ogni rubrica di varie ed eventuali e d’ogni altro argomento di dibattito non meno insostenibile. Addio così alle petulanti facce convinte di aderire al pubblico discorso ignorando d’essere invece zampironi viventi. Avete compreso bene: il fotoromanzo torna ora in risposta alla banalità e all’assenza di fantasia, cercando soprattutto di restituire un sincero cuore all’informazione odierna, sia nella sua forma strettamente cronistica – «… ieri Di Maio ha detto così!», «Già che c’era, Conte gli ha risposto colì», «È poi giunto Renzi che si espresso a sua volta…» – sia nel bla bla solo in apparenza brillante degli opinionisti fissi laureati.
La bidimensionalità fotografica scandita da un glorioso bianco e nero tipografico contrapposta, dunque, insieme alle stringhe delle battute, all’apparente dialettica del solito «Questo lo dice lei!», cui l’altro solitamente replica: «No, questo lo sta dicendo lei!».
Rieccolo, il fotoromanzo, riportato in vita da Il Riformista, proprio quello  che molti ritenevano tramontato, carta ingiallita, da associare alle giacche a quadrettoni dei commissari dei film poliziotteschi di Umberto Lenzi o Enzo G. Castellari, cose anni ‘70, insieme alle canzoni, metti, dei Santo California dedicate al tema cocente della partenza del ragazzo innamorato per la leva militare obbligatoria, temendo che la fidanzata, nel frattempo, si accoppi con un antagonista in divisa, così al tempo di giornaletti quali Il Tromba, Jacula, Attualità proibita, Lando, Il Camionista, Sukia, Zora la Vampira, Menelik, Caballero. Invece, proprio grazie alle pagine de Il Riformista il fotoromanzo ritrova luce e speranza, forse anche carità, surclassando i meme che appaiono nelle pagine social con battute da cral aziendale con annessa “stuzzicheria” con canna fumaria abusiva, roba triste e per nulla dialettica, lì a consumarsi in una sola immagine, didascalie da Bagaglino.
Guardate, dai, guardate invece le storie meravigliose raccontate qui. Fate caso al più superbo fotoromanzo destinato a sciogliere i nodi della politica, della giustizia, del quotidiano istituzionale e di governo. Una offerta-lancio, di più, una “proposta giovane” di estro e fantasia. Idealmente, dall’alto dei cieli non ancora in quadricromia, a salutare l’intera avventura, occorre immaginare coloro che del fotoromanzo furono volti leggendari. Tutti coloro che vanno associati alla narrazione fotografica come icone di una leggenda “sentimentale”.

Sappiano, però, le amiche e amici del Riformista che, accanto al compianto Franco Gasparri, Ornella Pacelli, al divo Max Delys – lo stesso di cui, almeno secondo la testimonianza del pittore Mario Schifano, si favoleggiavano doti  davvero imponenti – o del piacente Sebastiano Somma, esistette perfino un genere di fotoromanzo “politico”, cioè a uso e consumo della costruzione del consenso, se non della gramsciana egemonia, alle urne. L’ufficio stampa e propaganda del Partito comunista italiano, per esempio, nei primi ’70, in piena strategia della tensione con l’eco ancora intatta della strage di piazza Fontana, in occasione di una tornata elettorale produsse un titolo ottimistico: La vita cambierà, al costo di lire 50. Tra i protagonisti: Franco, Maria, l’Onorevole, il Parroco, lo Psicotecnico, il Maresciallo, il Segretario. Inutile dire che quest’ultimo custodiva le chiavi della locale sezione intitolata al “Migliore”. La storia? Franco cerca lavoro, viene così irretito dai neofascisti che vorrebbero convincerlo a tirare un ordigno contro gli onesti lavoratori in corteo, alla fine tutto si accomoda per il meglio, resta da fare una bicchierata proprio sotto i ritratti Ho Chi Minh, Che Guevara e il piatto-souvenir di Togliatti, il trionfo della serenità, il sole che torna a splendere in sezione.
Anche Il Male, giornale di satira nichilista concepito da Vincino e altri, realizzò il proprio, Una flebo per due, interpreti Cristiana Mancinelli Scotti, figlia di Elsa Martinelli, l’artista concettuale Renato Mambor, l’attore Victor Cavallo, con la partecipazione amichevole di Beniamino Placido, anche in questo caso figura una tribolata storia di passione tra le durezze della vita, degli psicofarmaci in attesa di un futuro migliore. Dimenticavo: «Giudica il passato, guarda al futuro», così, fissando negli occhi il lettore, la protagonista del primo, già citato, fotoromanzo politico.
Il fotoromanzo salverà dalla noia e da ogni linguaggio corrivo, riporterà emozioni ritenute disperse, farà risentire i palpiti che giungevano un tempo dagli Alunni del sole con la loro Canzuncella: «Che mm’e ‘mparate a fa, che mm’e ‘mparate a fa si doppo tantu tempo, te si scurdata ‘e me…».
Volendo fare un po’ di storia sul tema specifico, è bene ricordare che i fotoromanzi sono frutto di genialità tutta italiana, un genere autoctono, pienamente sovranista, direbbe Salvini. Va citato in proposito Cesare Zavattini, l’iniziatore del “fumetto fotografico”, così era definito il primo numero di Bolero Film in edicola il 25 maggio 1947. Gli storici del costume precisano ancora che il fotoromanzo avrebbe insegnato a leggere a molte ragazze italiane. Senza farla troppo lunga, è bene sapere che il “nuovo”, risorto, fotoromanzo permetterà a tutti, grazie alla lungimiranza dei suoi ideatori, di comprendere bene le questioni e la sostanza più profonda e intricata della politica, compresi i suoi pozzi neri. Più nulla resterà oscuro, perfino i bizantinismi, meglio, le cazzate di questo o quell’altro ministro miracolato vi verranno svelate. Franco Gasparri lo abbiamo ricordato, vanno però ancora aggiunti alla lista dei pionieri protagonisti del genere Franco Califano, Laura Antonelli, Francesca Dellera, Barbara De Rossi, Luc Merenda, il piccolo Renato Cestiè, caschetto biondo, già piccolo eroe di L’ultima neve di primavera, anche quello un fotoromanzo, sebbene cinematografico, Isabella Ferrari, Massimo Ciavarro, c’è poi da ravvisare la presenza di Kabir Bedi, il Sandokan dei sogni di tutti nei giorni della ancora intatta balena bianca democristiana, e Gabriella Ferri, Giorgio Albertazzi, Giuliano Gemma, Ornella Muti, e la già menzionata Ornella Pacelli, discendente di pontefice, il grifagno Pio XII. Poi Mita Medici e Laura Efrikian, già regina dei “musicarelli” insieme al suo Gianni Morandi, chepì blu da nordista con l’iniziale di “Giberna”. Passò da lì perfino Vittorio Gassmann, proprio questi, in costume d’amor cortese, così pronunciava: «Sento di amarvi, madonna e se questo non vi offende lasciate che ve lo dimostri con un bacio sulle labbra», e lei, la dama, di rimando: «Siete ardito, bel cavaliere!». E Gina Lollobrigida esordiente. E Alessio Boni tra i più recenti.   Volti angelici, desiderabili, melodici accanto a facce da manigoldi, da furfanti, da infidi, da perfidi, da invidiosi dell’altrui gioia, e da maliarde, e perfino di avide assatanate di sesso. Il fotoromanzo infatti con doverosa sincerità riassume sia il meglio sia il peggio della commedia umana. In questo caso politica. Se così non fosse, non avrebbe incuriosito perfino i teorici del Situazionismo. Costoro, durante le barricate parigine del maggio 1968, metteranno in bocca ai fumetti perfino le parole di Karl Marx e di Rosa Luxemburg, strano ma vero. Perché il fotoromanzo può essere, sì, lacrima, patema e sospiro, ma anche invettiva, monito e insieme denuncia.

Le storie fotografiche riporteranno infine chiarezza, e non è detto che a partecipare a questo gioco non giungano, prestandosi al gioco, alcuni volti noti di ciò che Pasolini chiamava “il Palazzo”, in ogni caso i più dotati di autoironia. Lo si è detto, i nuovi fotoromanzi faranno diradare le tristi e pallose nubi che i talk show politici depositano sul cielo già insostenibile dell’informazione abituale, corriva, prevedibilmente di governo, se non di regime. Non per nulla, da lassù, a presidiare idealmente i lavori troviamo il leggendario Max Delys, lui che giunse in Italia insieme alla sua ragazza di allora, Dominique Sanda, quando sembrava che tutto fosse ancora vero e intatto. Tra i suoi titoli più gettonati: Una stanza più servizi. I fotoromanzi de Il Riformista daranno molto di più, ci sarà perfino l’angolo-cottura e addirittura, lo si sappia, l’angolo-bagno e un terrazzo di ampia metratura, dal quale guardare per subito comprendere le miserie e i conformismi della politica. Finalmente tutto vi apparirà più chiaro, più bello, più vero, più sincero, così in attesa del grande, definitivo amore, Iva compresa.

Fulvio Abbate

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