Neanche il tempo di ufficializzare la decisione di candidarsi a sindaco di Caserta e Gianpiero Zinzi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale, già segue l’esempio di Gaetano Manfredi. Invoca una legge speciale, stavolta per Caserta, e tocca a Matteo Salvini rassicurarlo che sì, si farà. Che Caserta se la passi non tanto meglio di Napoli è risaputo: in passato è balzata agli onori delle cronache per non avere più, di fatto, un trasporto urbano. E, col meccanismo dei costi storici, lo zero alla voce trasporti urbani si riportava anche sul bilancio dell’anno successivo: se il Comune non ha un trasporto pubblico, si vede che non ne ha bisogno e, di conseguenza, non riceve dallo Stato alcuna risorsa per quel servizio.

Anche al netto di queste distorsioni ordinamentali il bilancio di Caserta non è e non sarebbe florido. Ma possiamo permetterci una legge speciale per ogni Comune italiano, spesso meridionale, gravemente indebitato? E in cosa consisterebbe la specialità di questa legge, se non nei suoi specialissimi costi gravanti sul contribuente italiano? È innegabile la necessità di un intervento nazionale sui tanti Comuni indebitati, sia perchè questi debiti sono in parte frutto di distorsioni normative inaccettabili sia perchè il Parlamento dovrà dare una risposta alla decisione della Corte costituzionale di annullare le leggi “spalma-debiti” che consentivano agli enti più virtuosi di risalire la china senza rinunciare a ciò che resta dei servizi erogati o a un minimo di programmazione. Ma affermare il diritto di ogni candidato sfidante di poter governare come se il passato non esistesse non rientra nella logica e nella possibilità della politica. Da sempre nero e bianco subentrano l’uno all’altro. Da sempre il nero accusa il bianco di aver lasciato debiti, anche quando non è vero, e il nero dice al bianco che ha trovato debiti e ha risanato il bilancio, anche quando non è vero. Il deficit cronico dei Comuni italiani è peraltro una tara storica fin dalla nascita dello Stato unitario.

Bisogna ripartire dai fondamentali, fissando due linee maestre. La prima e più importante è che esiste la responsabilità politica, quella che gli elettori fanno valere nel momento elettorale. Responsabilità più facile da azionare se c’è una società civile attenta e un dibattito politico approfondito e non fazioso. In alcuni dei Comuni più indebitati – vedi Napoli – il sindaco uscente era stato anche rieletto facendo rigirare nella tomba Quintino Sella. Non è dunque così scandaloso che, al netto delle distorsioni di cui sopra, a un italiano che vive in un Comune ben amministrato non stia bene di pagare il conto di chi ha sognato la rivoluzione e creduto a promesse impossibili, o è stato assecondato nell’evasione dei tributi locali o non si è accorto o interessato della cattiva amministrazione cittadina.

L’altro asse, in deroga al precedente ed eccezionale, è che un’azione “scassaconti”, segnata da dolo o colpa grave, dev’essere chiaramente sanzionata. C’è un punto oltre il quale non basta il circuito della responsabilità politica, ma a tutela delle generazioni future servono giudici e misure interdittive. A oggi, paradossalmente, questo meccanismo favorisce l’indebitamento perché, pur di non dichiarare il default, la situazione debitoria si incancrenisce in un avvitamento che porta alla richiesta non più di soluzioni ordinamentali ma di interventi ad hoc, dunque speciali. Che però, accumulandosi, non sono più tali.