«Napoli è ormai una città disillusa e avvilita che ha un disperato bisogno di una legge speciale, che consenta di gestire la massa debitoria del Comune, e di un masterplan urbanistico, indispensabile per recuperare le aree degradate. Ci riuscirà uno tra Maresca, Fico e Manfredi? Non lo so, ma di certo serve un sindaco che conosca la città, sappia risolvere i problemi e sia capace di far battere il cuore dei napoletani». Ne è convinta Rossella Paliotto, presidente della Fondazione Banco di Napoli e simbolo dell’imprenditoria femminile all’ombra del Vesuvio.

Presidente, al centro del programma del governo Draghi ci sono donne e lavoro. Di cosa ha bisogno l’imprenditoria femminile a Napoli?
«Sono abituata a verificare l’attuazione degli annunci con i fatti concreti. Non mi piace il tema delle quote rosa: sono convinta che donne competenti, determinate e autonome sappiano dimostrare il loro valore in base ai risultati conseguiti».

Con un tasso di disoccupazione pari al 23,3%, Napoli soffre di più la mancanza di opportunità lavorative. Come immagina un piano lavoro?  
«La Fondazione Banco di Napoli ha partecipato agli Stati Generali del Sud convocati dalla ministra Mara Carfagna. I numeri emersi sono stati un pugno allo stomaco. Due statistiche: 2,2 milioni di persone in stato di assoluta povertà nel Mezzogiorno, praticamente uno su dieci; 440mila posti di lavoro persi nel 2020. Di questi, oltre il 90% di occupazione femminile. Perciò abbiamo avanzato alcune proposte per rilanciare turismo, cultura e innovazione: una piattaforma tecnologica italiana per prenotare le strutture di ospitalità con commissioni più favorevoli rispetto alle attuali Ota che hanno sede in altri luoghi del mondo e applicano una commissione dal 15 al 20% del ricavo lordo per camera; valorizzazione del south working; burocrazia a chilometro zero con lo Stato amico dell’imprenditore e del contribuente».

Quali incentivi servono alle start-up?
«Ho investito in numerose start-up. Il vero problema è alimentarle economicamente nel tempo per la crescita e il posizionamento sui mercati, unitamente a iter formativi indispensabili per acquisire le capacità necessarie per un sano controllo di gestione».

Per rendere i nostri territori attrattivi agli occhi degli imprenditori esteri quale strategia suggerisce?
«Il grande male dell’Italia si chiama burocrazia. Chi vuole investire è costretto a fare i conti con troppe leggi e autorizzazioni. All’estero gli imprenditori sono invece abituati a ottenere soluzioni rapide. L’altro elemento dirimente è la lentezza della giustizia. È su questi aspetti che bisogna intervenire al più presto».

Quale deve essere il nuovo modello economico di Napoli, dopo che quello basato sull’ospitalità diffusa è stato travolto dal Covid, e su cosa deve spingere?
«Nella sede della nostra Fondazione si è riunito più volte un nutrito gruppo di professionisti under 40 per elaborare un documento programmatico da sottoporre ai futuri candidati a sindaco: il metodo giusto per condividere con chi di dovere le priorità programmatiche. Questi professionisti hanno avanzato proposte dall’edilizia al recupero degli spazi verdi, dai trasporti alla sanità, dal turismo alla formazione. Suggerisco una strategia di ascolto vero. Il modello della condivisione non significa continui “tavoli” con tante chiacchiere, ma confronto serrato in nome della politica del fare».

Cosa pensa dei dieci progetti che il Comune intende realizzare con il Recovery Fund?
«I progetti legati a strade, metropolitana e periferie sono il minimo che una buona amministrazione dovrebbe mettere in campo e sono gli stessi da lungo tempo. L’inserimento della rigenerazione dell’Albergo dei Poveri nel Recovery Plan governativo è un’ottima iniziativa. Mi sarei aspettata, però, anche qualche idea più lungimirante. In generale, occorre un masterplan di recupero urbanistico. Idea apprezzabile anche il recupero della zona antistante l’ex mercato ittico di Napoli, bellissimo edificio progettato dall’architetto Luigi Cosenza, da trasformare in un punto di accoglienza turistica con botteghe di prodotti tipici e ristoranti».

Napoli si appresta a scegliere il nuovo sindaco, quali caratteristiche dovrebbe avere?
«Sembra un’ovvietà, invece non lo è: il prossimo sindaco dovrà conoscere bene la città, i suoi quartieri, i suoi problemi, le sue necessità. Napoli è sfilacciata, disillusa, avvilita, ma non è da napoletani lasciarsi andare a tali sentimenti. La conoscenza approfondita va poi coniugata con la capacità di problem solving, senza rincorrere compromessi al ribasso per compiacere gli amici o gruppi di interesse».

Tra i possibili candidati c’è qualche nome che le piace?
«Noto, attraverso i giornali, un dibattito poco incentrato su priorità, programmi e nuove proposte, ma molto su nomi e dinamiche partitiche. Provo sconforto. Quanto al centrodestra, nutro grande stima per il pm Catello Maresca: ha un curriculum di tutto rispetto, ma sono contraria alla possibilità che un magistrato entri in politica e sperimenti la guida di un’amministrazione complessa come quella di Napoli. Quanto al centrosinistra, i nomi del presidente Roberto Fico e del professore Gaetano Manfredi sono molto diversi tra loro: il primo non ha mai governato un ente pubblico o privato, il secondo è stato prima rettore della Federico II e poi ministro dell’Università, tappe importanti di una carriera a cui però vanno aggiunte altre caratteristiche come il pragmatismo di natura manageriale e l’empatia. Per la svolta occorre coinvolgere i napoletani accendendo il loro desiderio di cambiamento profondo. Serve qualcuno che faccia battere il cuore della città».

Quale dovrà essere la priorità del prossimo inquilino di Palazzo San Giacomo?
«Gestire l’enorme massa debitoria del Comune. Serve una legge speciale che consenta di superare l’assenza di liquidità e somministrare i servizi pubblici essenziali per il decoro urbano. Ripeto spesso: il Comune può avere mille giardinieri e ritrovarsi le aree verdi ridotte in condizioni penose?»

Da dove bisogna ripartire?
«Napoli può ripartire dalla sua storia unica al mondo, dalle straordinarie abilità degli artigiani, ma anche dalla capacità di resistere alle avversità, creando una rete virtuosa fatta di solidarietà concreta. Napoli sa mettere in pratica – e con la pandemia l’ha confermato – quel principio costituzionale di sussidiarietà che impone di soccorrere chi versa in condizioni di difficoltà».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.