«Napoli è l’unica città orientale priva di un quartiere europeo». Oggi come allora, non è mai cessata d’attualità l’allarme di lord Rosebery che Francesco Compagna ci ricordava quando parlava di un futuro migliore possibile per Napoli. Anzi, negli ultimi anni sono decisamente peggiorate le condizioni di vivibilità della città che crolla al 103esimo posto nella classifica annualmente stilata da Italia Oggi in collaborazione con l’università la Sapienza di Roma.

La nostra città non solo rimane oggi come allora senza un “quartiere europeo”, ma le nostre periferie, se la prossima Giunta comunale dovesse continuare nella politica dell’abbandono, diventeranno le brutte copie delle banlieue parigine che pure presentano interessanti parchi, però senza l’animazione di quella capitale europea e i suoi grandi rinnovamenti urbani. Se dovessimo consigliare una lettura ancora attuale ai candidati a sindaco che in questi giorni affollano le cronache cittadine, alla vigilia delle prossime elezioni comunali, suggeriremmo lo studio di un libro prezioso scritto da Francesco Compagna, La Politica della Città. Consiglieremmo di leggerlo insieme con un suo continuo allarme: «La vera malattia endemica, a Napoli, è la disoccupazione».

Lo studioso delle “questioni urbane”, delle tendenze e delle trasformazioni delle conurbazioni pensava che un avvenire migliore sarebbe stato possibile se i problemi della città fossero stati affrontati in chiave metropolitana. Ciò a Napoli non è avvenuto, anzi la Città metropolitana è scomparsa come opportunità. È stato un grave errore e ne pagheremo le conseguenze. In questi dieci anni si è voluto restringere la soluzione dei problemi della città nell’area di competenza dell’ex cinta daziaria, mentre i problemi di una città articolata sotto più profili come Napoli vanno affrontati nella Città metropolitana: un’occasione irrinunciabile anche per i fondi che l’Unione Europea destina alle aree metropolitane. La condizione necessaria, però, è che si formi subito una tecnostruttura capace di chiederli per ammodernare l’intera armatura urbana di Napoli e provincia. Si dirà che Napoli è cambiata dagli anni ’50 del secolo scorso dopo la speculazione edilizia. In quegli anni è nata la seconda corona di spine e sono arrivate le periferie inabitabili dove, se ti capita di sbagliare strada, come scriveva Raffaele La Capria, puoi arrivare addirittura all’inferno.

A guardar bene è il centro antico a essere diventato una grande periferia interna della città. Si pone allora il problema che la Giunta comunale uscente non ha affrontato – a parte l’enorme debito che lascia in eredità a quella prossima – e che può essere riassunto in una domanda: a che punto sono i tanti progetti per riqualificare Napoli? Come rimetterli in pista dopo l’abbandono di questi anni? Da dove iniziare per rispondere all’interrogativo? Ricordiamo solo due di quei progetti in campo fra aspettative e perplessità. È il caso della complessa opera di trasformazione della zona orientale: un’area vasta che versa in uno stato di degrado e disordine cittadino che si è accentuato dopo le dismissioni dell’apparato industriale.

Bagnoli è l’altra questione di riqualificazione urbana dove non si vede l’inizio di un’opera di risanamento. È di questi giorni la deliberazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, pubblicata due giorni fa sul sito istituzionale. Nel documento si legge che la bonifica dell’ex Italsider di Bagnoli, opera di interesse nazionale, è tuttora in alto mare. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. I problemi esigono una classe politica diversa, accurata, che non faccia dell’estemporaneità e dell’improvvisazione un capitolo esclusivo del suo programma.