«Riorganizzare la macchina amministrativa, creare una task-force interna al Comune per non sprecare l’occasione del sismabonus e dell’ecobonus, ristabilire un patto di fiducia tra pubblico e privato guardando a modelli come quelli offerti da capitali europee quali Lisbona o Barcellona». Ecco il piano per realizzare una nuova Napoli secondo Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione dei costruttori edili di Napoli (Acen).

Presidente, oggi Napoli che città è?
«Una città sofferente, dove coesistono vitalità produttiva e dolore, grandi iniziative sociali, ricerca e disoccupazione».

Come dev’essere ripensata la città e la sua urbanistica?
«Credo che sia urgente una riflessione aperta e condivisa sull’identità e sulle vocazioni della città. Se discutiamo, per esempio, della vocazione turistica, bisognerà riflettere anche su quale tipo di turismo intendiamo attrarre e come organizzare i servizi connessi. Dunque, l’urbanistica va pensata alla luce di scelte strategiche. Stesso discorso per le altre attività produttive».

Esiste una città europea alla quale Napoli potrebbe ispirarsi?
«Penso a Lisbona, Marsiglia e Barcellona che hanno lavorato molto sulla rigenerazione urbana, facendo anche ricorso all’architettura contemporanea e salvaguardando il patrimonio artistico e architettonico».

Come andrebbe riqualificato il patrimonio immobiliare di Napoli?
«Purtroppo rischiamo di vanificare le potenzialità del superbonus perché la macchina amministrativa comunale è lenta, si registrano problemi a recuperare i documenti necessari e manca da mesi la Commissione del paesaggio la cui azione è talvolta indispensabile. La soluzione potrebbe essere una task-force interna al Comune, da utilizzare pro-tempore per i bonus edilizi, che garantisca tempi certi. In più, andrebbero esitate, positivamente o negativamente, le migliaia di domande di condono in attesa, perché senza legittimità edilizia, naturalmente, non si può procedere».

Parlando di ecobonus e sismabonus, quali sono i limiti e quali i tratti positivi di queste agevolazioni?
«Si tratta di benefici fiscali che possono rendere più efficiente e sicuro il patrimonio immobiliare. E Napoli ne ha davvero bisogno. A oggi, insistono ancora limiti e vincoli nell’organizzazione della burocrazia, nonostante il Comune abbia avviato la procedura per rendere disponibili altre risorse per il centro storico».

Antonio Bassolino ha recentemente detto che la priorità del prossimo sindaco, carica per la quale si è candidato, dovrà essere stilare un grande piano di manutenzione. Quale strategia deve essere messa in campo per evitare che eventi come quello della Galleria Vittoria si ripetano?
«Un piano straordinario di manutenzione ordinaria è condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna anche organizzare la macchina amministrativa del Comune con risorse economiche, umane e tecniche che ora mancano, mettendo a regime gli immobili e le aree pubbliche da valorizzare».

Le zone di Bagnoli e Napoli Est, invece, come devono essere ripensate?
«Anche qui, non manca la progettualità ma la visione di futuro. Senza prospettive sostenibili dal punto di vista economico, tecnico e sociale, sarà impossibile individuare leve di sviluppo economico e sociale. I privati continuano a essere disposti a investire, ma se la Pubblica Amministrazione è ferma o inefficiente, è difficile procedere».

Quale ruolo dovrebbero avere i privati nella ricostruzione della città?
«Tra la Pubblica Amministrazione e i privati deve ristabilirsi un patto di reciproca fiducia. La scarsità di azione è frutto di sfiducia tra le parti; se si istituzionalizzassero “mini-commissioni”, con consulenti di fiducia delle amministrazioni, chiamate ad analizzare in maniera oggettiva il potenziale economico delle iniziative private, anche suggerendo ulteriori spunti per trovare un’intesa tra le diverse esigenze, si avvierebbe un numero maggiore di iniziative di partenariato pubblico privato. Sempre a partire dal disegno e dalla scelta della politica».

Ora il Governo è chiamato a riscrivere il Recovery Plan: quali progetti richiede Napoli?
«Innanzitutto bisognerebbe ragionare su scala metropolitana. Gli indirizzi delle aree omogenee non sembrano rispondere alle esigenze dei territori. Serve, quindi, ripensare le aree omogenee della Città metropolitana, superando i meri confini amministrativi, facendo confluire le risorse disponibili per infrastrutturare ogni area. Il tutto conferendo poteri diversi agli amministratori delle aree omogenee».

Si parla ancora di emergenza abitativa e di quartieri periferici: quale strategie suggerisce?
«Questo è un problema nazionale che qui ha ricadute più dolorose. Un Paese è civile se realizza piani di edilizia abitativa sociale, agevolata, che offrono risposte ai più bisognosi, alle giovani coppie e agli anziani. Un’edilizia eccellente, dal punto di vista architettonico e tecnologico. Il buon abitare fa crescere il livello socio-culturale e, quindi, economico dei territori».

Cosa pensa dei possibili candidati sindaco?
«Sulle candidature ritengo corretto astenermi. Più in generale, credo che candidarsi a sindaco debba essere una scelta “di campo” e non un’alternativa».

Al di là dei nomi, come dovrebbe essere il sindaco ideale di Napoli?
«Nell’identikit del nuovo sindaco non può mancare la capacità di dialogo con le istituzioni del territorio e del Governo, perché i bisogni della città rendono necessaria un’ampia condivisione, un percorso non solo locale per ripartire».

Quali dovrebbero essere le priorità del prossimo inquilino di Palazzo San Giacomo?
«Nuovi strumenti urbanistici, ma non solo. Bisogna lavorare insieme: forze politiche, produttive e sociali affinché la città si rinnovi e venga percepita come un luogo sicuro per buoni investimenti e dove i nostri giovani possano trovare lavoro. Inoltre, serve una fluida intesa della nuova giunta con dirigenti e dipendenti comunali».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.