«Il patto per Napoli è un impegno politico serio e sono molto fiducioso che si realizzerà per dare risposte a problemi che non si possono risolvere solo a Napoli, ma anche a Napoli». Così Gaetano Manfredi durante la prima conferenza stampa da candidato sindaco del campo progressista che unisce M5S, Pd e altre forze di centrosinistra. L’ex ministro ha risposto a chi gli chiedeva come intendesse risolvere il problema del debito comunale in caso di naufragio dell’accordo stipulato da Giuseppe Conte, Enrico Letta e Roberto Speranza. «Napoli non ha solo bisogno di salvataggi di Stato, ma chi amministra va messo in condizione di lavorare come è successo altrove. La nostra – ha aggiunto l’ex rettore della Federico II – non è una città di serie B, dobbiamo avere quello che hanno avuto gli altri, dimostrare di meritarlo e andare avanti con le nostre gambe».

Fiducia e speranza ci sono, ma Manfredi non sembra disporre di un paracadute nel caso in cui lo scenario politico dovesse impedire all’annunciato patto per Napoli di diventare realtà. Il “documento della concordia” era stato la conditio sine qua non posta da Manfredi per accettare la candidatura a sindaco dopo aver inizialmente declinato l’invito e sottolineato che le condizioni economiche di Napoli non consentirebbero a nessuno di governare la città. E così è nata l’idea di stilare il documento: gestione commissariale del debito comunale, sulla falsariga di quella attivata dal 2008 per Roma; incremento, da 500 milioni ad almeno un miliardo di euro annuo, della dotazione del Fondo per il sostegno all’equilibrio di bilancio degli enti locali; realizzazione di un piano straordinario per l’assunzione e la riqualificazione del personale. La sensazione di alcuni è che questo patto non sia altro che un dissesto mascherato, visto che prevede la gestione commissariale del debito facendo però salve le responsabilità di chi ha portato Palazzo San Giacomo sull’orlo del crac. E se da un lato Manfredi sottolinea che Napoli deve avere ciò che hanno avuto le altre città, dall’altro resta da vedere se e quanto Comuni come Palermo, Lecce o Torino siano disposti a lasciar fare o siano pronti a pretendere un trattamento almeno pari a quello riservato al capoluogo campano.

Lasciatosi alle spalle la questione spinosa del debito, Manfredi è entrato nel vivo dello scontro con i suoi competitor per il vertice di Palazzo San Giacomo: «Non temo nessun candidato – ha affermato l’ex ministro – Voglio coesione perché il bene di Napoli viene prima degli interessi elettorali: oggi è il momento di un protagonismo diretto di tutti e per questo faccio appello alle forze migliori della città». Dialogo, quindi, ma niente trattative e appelli rivolti solo all’intera collettività. «Sul tema delle liste pulite non possiamo fare mediazioni – ha aggiunto Manfredi – Siamo una coalizione inclusiva, ma con valori non negoziabili: l’ultima parola spetterà a me».

Per quanto concerne le cose da fare, l’attenzione di Manfredi è rivolta alla riorganizzazione della macchina comunale, alle periferie, alla città metropolitana e alla valorizzazione del brand Napoli: «Realizzerò dei “progetti bandiera” per ogni Municipalità. Napoli non si ferma a Chiaia e Posillipo. Io dico che ognuno si deve sentire protagonista del percorso anche programmatico che avanzeremo per costruire un grande cantiere per la città. L’obiettivo – ha concluso l’ex titolare del Ministero dell’Università – è trasformare Napoli in una città più semplice, organizzata ma anche ricca, inclusiva e attrattiva agli occhi del mondo entro il 2026»

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.