Ultima arrivata in ordine di tempo, la candidatura di Sergio D’Angelo a sindaco per le prossime elezioni comunali a Napoli fa del centrosinistra un assembramento privo di forma e struttura. I tre candidati ufficiali – Antonio Bassolino, Alessandra Clemente e D’Angelo – insistono su quell’area progressista dove si attende da mesi il “deus ex machina” frutto dell’alleanza Partito democratico-Movimento Cinque Stelle. In questo modo il “campo largo” rischia di essere un campicello e chi arriverà faticherà non poco a farsi spazio nel campo già occupato da tempo.

La frammentazione delle candidature potrebbe avere riflessi sulle percentuali utili a centrare il ballottaggio, che potrebbero abbassarsi in modo significativo stante l’assenza di un vero e proprio “terzo polo” rispetto al centrodestra, il quale attende alla finestra e sembra fare gara a sé. Tuttavia, non possono sfuggire gli effetti di una simile frammentazione nel campo progressista. Ogni candidatura emergente determina per i partiti di Enrico Letta e Giuseppe Conte una riduzione dei consensi potenziali sul candidato comune oppure la necessità di cedere di più in sede di contrattazione per ottenere il ritiro o il “riassorbimento” delle candidature, ove possibile. In secondo luogo, più aumentano i candidati e più è difficile individuare una figura autorevole disposta a mettersi in gioco per una sfida così impegnativa, nella quale si rischia di arrivare al ballottaggio con una percentuale assai modesta, probabilmente inferiore a quel 25% di cui spesso si parla.

Eppure in campo non ci sono grandi nomi nazionali, come meriterebbe la terza città d’Italia. Non c’è dubbio che le difficoltà di individuare un candidato non dipendano dall’assenza di profili spendibili, ma dal legame a doppio filo con le partite delle comunali romane e torinesi. Attendere a Napoli la maturazione di tempi politici dipendenti da altre vicende, in particolare del superamento dell’impasse dovuta alla ricandidatura di Virginia Raggi nella Capitale che crea un serio problema al Pd, può essere molto rischioso. Come il Pd si presenta da tempo alternativo alla Raggi ma è costretto ad allearsi con il M5S, allo stesso modo, a Napoli, si presenta alternativo a Luigi de Magistris ma potrebbe essere costretto a trattare con il suo mondo per battere il centrodestra.

Alla base di tutto vi è la decisione di calare l’alleanza nazionale giallorossa sui territori, dando luogo ad alleanze pre-elettorali. Eppure il ballottaggio alle comunali servirebbe proprio a realizzare una confluenza di voti di simili, o non dissimili, dopo un primo turno in cui i principali partiti dovrebbero testare la propria forza. Ma si sa che, in Italia, collegi e doppi turni sono stati interpretati in modo assai diverso da come avviene nel resto d’Europa. Ben diverso sarebbe un candidato che arrivasse al secondo turno per un pelo, ma in quanto rappresentativo di un solo partito, come è avvenuto a Macron: avrebbe tutt’altro slancio.

Inoltre il ritardo della presentazione delle candidature del Pd per le elezioni regionali e locali, ogni qual volta manchi un uscente da confermare, sta diventando un problema serio perché, come si sa, i nodi si sciolgono all’ultimo minuto, spesso a ridosso dalla presentazione delle liste; quando tutte le caselle vanno al loro posto, tuttavia, si è spesso perso tempo prezioso per dialogare con l’opinione pubblica e con le categorie sociali e professionali. Per i dem, dunque, è tempo di decidere visto che che più passano i giorni, più il quadro politico si complica e il proscenio si affolla.