Se si dà un’occhiata alle recenti notizie su Napoli, non si può non essere presi dallo sconforto. Il motivo è semplice: la sensazione è che, nella terza città d’Italia, la politica e l’amministrazione siano una questione personale, familiare o, nella migliore delle ipotesi, di partito. Basta osservare la coalizione di centrosinistra, incapace di esprimere un nome e un programma in vista delle prossime comunali, ma sempre in grado di dispensare polemiche sterili. A infiammare il campo progressista è stata dapprima l’indicazione del pentastellato Roberto Fico come possibile candidato sindaco.

Poi è arrivato lo scontro tra il segretario napoletano dem Marco Sarracino e il presidente campano Vincenzo De Luca, con quest’ultimo apparentemente pronto a fare un nome per Palazzo San Giacomo. È delle scorse ore la notizia che vorrebbe Piero De Luca, figlio del governatore, come prossimo vicecapogruppo del Pd alla Camera: una mossa per scongiurare fughe in avanti e minacce di candidature autonome alle quali De Luca senior ha abituato l’opinione pubblica e il suo stesso partito. Affari di famiglia? Pare di sì. Certo è che il futuro di Napoli resta per ora in secondo piano.

Sul fronte opposto non va meglio. Sono mesi che il sostituto procuratore generale Catello Maresca è dato come candidato del centrodestra. Da tempo continua a incontrare esponenti di partiti politici e società civile, senza però fare chiarezza sulle sue (legittime) ambizioni da amministratore pubblico. Tutto lascia intendere che il pm prenderà l’aspettativa a un mese dalle elezioni, quindi a ridosso dell’autunno, alimentando polemiche sulla commissione tra il suo ruolo di pm e quello di candidato in pectore che non fanno certo bene alla credibilità dell’ordine cui appartiene. E nel frattempo i partiti di centrodestra valutano se presentarsi alle amministrative con i rispettivi simboli, a seconda delle intenzioni di voto via via indicate dai sondaggi.

Nemmeno la relazione annuale del Cnel sui servizi pubblici ha ricordato alle forze politiche che Napoli e il Sud non possono ancora attendere una strategia di rinascita credibile e sostenibile. Secondo quel documento l’aspettativa media di vita di un napoletano è da tre a dieci anni inferiore a quella di un milanese proprio a causa della minore qualità complessiva del welfare, penalizzato da vent’anni di mancati investimenti. Non solo: il Covid ha messo in ulteriore difficoltà soprattutto i Comuni a vocazione turistica e con squilibri finanziari pregressi. Eppure nessun esponente politico dice come riequilibrare decenni di mancati investimenti.

Nessuno ipotizza un uso strategico delle risorse in arrivo col Recovery Fund. Nessuno immagina un nuovo modello economico per Napoli dopo che la crisi ha travolto quello basato sull’ospitalità diffusa. Sarebbe il caso che i partiti si dessero una mossa e indicassero non solo i rispettivi candidati, ma le misure che intendono mettere in campo per risolvere i veri problemi della città. Perché la politica è questo: tutela dell’interesse generale, non certo un affare personale.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.