«Semel abbas, semper abbas»: così recitava la regola benedettina in base alla quale la dignità e il titolo di abate si conservavano in perpetuo, a prescindere da eventuali dimissioni. Il che, ovviamente, non imponeva a un religioso di onorare quel ruolo fino alla morte. Il più delle volte, però, andava esattamente così. E, di certo, non tutti gli abati dismettevano improvvisamente il saio per indossare gli abiti di altri ordini. Nella politica napoletana di oggi, invece, accade il contrario. Basta osservare tre dei principali protagonisti della scena politica e cioè Luigi de Magistris, Catello Maresca e Roberto Fico: tutti titolari di cariche pubbliche delicate e prestigiose, eppure pronti a scambiare quelle stesse cariche con altre.

Partiamo da Dema: dal 2011 è sindaco di Napoli ma, quando alla scadenza del suo secondo mandato mancava una manciata di mesi, ha deciso di candidarsi a governatore della Calabria. Poi c’è Maresca, sostituto procuratore generale di Corte d’appello che molti danno come candidato sindaco di Napoli per il centrodestra. Infine Roberto Fico, presidente della Camera al quale i vertici partenopei del Pd vorrebbero affidare il Comune soprattutto ora che il Governo ha deciso di rinviare le elezioni amministrative al periodo compreso tra il 15 settembre e il 15 ottobre.

Dema, Maresca e Fico occupano ruoli di estrema delicatezza, soprattutto in questo momento storico: il primo perché guida la terza città d’Italia, duramente messa alla prova dalla crisi sanitaria ed economica; il secondo perché baluardo contro la criminalità e il malaffare che, specialmente ora che l’Italia si prepara a incassare i 209 miliardi del Recovery Fund, sono sempre in agguato; Fico perché terza carica dello Stato e, dunque, rappresentante delle istituzioni nazionali ai massimi livelli. I tre hanno in comune la volontà di dedicarsi ad altro dopo aver abbandonato la carica che elettori, Ministero della Giustizia e Camera hanno rispettivamente assegnato loro.

Ovviamente, nulla vieta che un sindaco, un magistrato o un presidente della Camera in carica trasmigrino da una poltrona all’altra e coltivino le proprie legittime ambizioni personali. Ciò, tuttavia, aggiunge un elemento di instabilità alle istituzioni e restituisce la fotografia di rappresentanti dello Stato che indossano una casacca per poi spogliarsene con una certa disinvoltura e indossarne un’altra. In alcuni casi, questa tendenza rivela anche uno scarso rispetto del ruolo che si ricopre, soprattutto quando le voci di una più che probabile candidatura collidono con l’indipendenza e l’imparzialità tipiche di determinate cariche in politica o in magistratura.

Come se ne esce? Con scelte trasparenti e rapide. Se proprio intende puntare alla presidenza della Calabria, de Magistris dovrebbe dimettersi anziché fare il “sindaco part-time” di una città ormai allo stremo. Stesso discorso per Maresca al quale il buonsenso, prima ancora di una legge che il Parlamento tarda ad approvare, dovrebbe imporre le dimissioni, indispensabili per evitare che l’immagine della magistratura venga offuscata. Identico ragionamento per Fico che non può essere il “presidente di tutti” e, nello stesso tempo, il candidato in pectore di un solo schieramento politico. Questo perché Napoli ha bisogno non solo di amministratori, ma anche di “candidati a tempo pieno” che per lei spendano tutte le energie a disposizione. E, soprattutto, perché in gioco c’è la credibilità delle istituzioni.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.