Il 31 gennaio si avvicina, ma da Palazzo Santa Lucia non trapela alcunché. Quella data è importante perché, poco dopo l’inizio dell’anno, il governatore Vincenzo De Luca aveva promesso che avrebbe fatto il nome del “suo” candidato sindaco di Napoli entro la fine di questo mese. Invece niente.

Per quanto i vertici nazionali del Partito democratico assicurino che la scelta del potenziale successore di Luigi de Magistris sarà presa dai quadri locali dem in totale autonomia, sembra evidente che le sorti di Napoli siano legate a quelle del Governo centrale a differenza di quanto avviene in città come Milano, dove Beppe Sala è già sicuro della (ri)candidatura. Che cosa significa? Che il destino di Napoli è appeso al filo – peraltro fragilissimo – dell’esecutivo Conte, mentre ad altre latitudini si procede più o meno spediti verso le comunali mettendo sul tavolo nomi, progetti e strategie.

Tutto ciò dimostra come Napoli, pur essendo la terza città d’Italia e rappresentando da sempre un importante laboratorio, non goda di alcuna autonomia rispetto alle dinamiche politiche nazionali. Chi avrebbe potuto rivendicare qualche forma di indipendenza sarebbe stato proprio De Luca, forte del 70% di consensi riportato alle ultime elezioni regionali e di un peso crescente all’interno del Pd. Il governatore avrebbe potuto indicare il nome o almeno il profilo del candidato sindaco del centrosinistra, così da aprire il necessario dibattito sulle strategie da mettere in campo per risollevare le sorti di Napoli.

Eppure non l’ha fatto, accettando la prospettiva di un accordo tra Pd e Movimento Cinque Stelle e accontentandosi dell’esclusione degli epigoni di de Magistris dalla coalizione di centrosinistra. Non è molto dissimile la situazione del centrodestra che dovrebbe indicare il nome del proprio candidato sindaco di Napoli al termine di una discussione tra i vertici nazionali di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. In altre parole, a destra come a sinistra, la capitale del Mezzogiorno è ridotta a poco più di una dépendance della politica nazionale. Non ci sarebbe alcun problema se la recente crisi del governo Conte non dimostrasse quanto le vicende nazionali siano instabili e addirittura pericolose nel caso in cui da quelle si faccia dipendere il destino di realtà locali già compromesse come Napoli.

Questa situazione restituisce la fotografia di una politica cittadina e regionale del tutto incapace di decidere in modo autonomo, dunque costretta a cercare la propria legittimazione nei palazzi romani, oltre che di far maturare e alimentare candidature tanto autorevoli e credibili da essere in qualche modo “imposte” ai vertici nazionali dei vari partiti. L’immediata conseguenza di una politica debole e dipendente è presto detta: la mancanza di quei nomi, di quei progetti e di quelle strategie indispensabili, nel caso di Napoli, per rimediare a un deficit di due miliardi e 700 milioni di euro, gestire il patrimonio in modo efficiente, garantire servizi all’altezza delle aspettative di cittadini e imprese, avvicinare il centro alle periferie, porre le basi per lo sviluppo duraturo e sostenibile del tessuto economico.

Al momento, però, all’orizzonte non si scorge nulla di diverso dalla solita ridda di ipotesi più o meno fantasiose e sempre legate ai precari equilibri delle coalizioni a livello nazionale. Peccato. Napoli vale più di un’alleanza di governo.