Luigi De Magistris ha ufficializzato nei giorni scorsi la sua candidatura alla presidenza della Calabria: «Sono indissolubilmente legato a questa terra sin da bambino. La legge regionale calabrese non impone le dimissioni da sindaco e quindi non dovrò lasciare Napoli». La parte finale di questa dichiarazione suona, però, come una iattura per la maggior parte dei napoletani che hanno a cuore il destino della città. È notizia del 12 gennaio scorso, in occasione dell’undicesimo rimpasto di Giunta in meno di dieci anni, che il Comune di Napoli, in una delle fasi più difficili della nostra esistenza, mentre il mondo corre per rafforzare il welfare, ha deciso di rinunciare proprio all’assessorato al Welfare.

Intanto proprio ieri, sullo stesso tema, Maria Caniglia, consigliera comunale e presidente della commissione Welfare, ha denunciato il fatto che sarebbero a rischio i finanziamenti dei servizi sociali e socio-sanitari del Comune che, nell’ordine, avrebbe mancato di: presentare il piano sociale di zona 2019/2021 i cui termini sono già scaduti da tempo; approvare la programmazione del fondo ministeriale Povertà/19; rinnovare l’accordo di programma con l’Asl Napoli 1 Centro per la gestione associata dei servizi socio sanitari.

Questa del welfare è solo l’ultima evidenza del fatto che il sindaco si sia dimenticato della città e abbia altri pensieri per la testa. Dopo aver superato lo spauracchio del dissesto finanziario ed essersi assicurato una exit strategy con la candidatura in Calabria, de Magistris sembra aver mollato definitivamente le redini della città che già aveva dovuto fare i conti, negli ultimi anni, a un’amministrazione davvero molto distratta.

Ogni anno si aggiungono 400-500 milioni di debiti e si perde credibilità per chiedere poi al Governo altre risorse. Tutte le entrate in bilancio, dalle multe al patrimonio per finire agli incassi della pubblicità, presentano indici negativi. Napoli non riesce più ad attrarre investimenti privati nazionali e internazionali e cade letteralmente a pezzi sotto gli occhi dei suoi abitanti. Emblematici, in tal senso, sono il crollo dell’arco borbonico settecentesco sul lungomare, della facciata della chiesa del Rosariello e la ormai “famosa” questione della Galleria Vittoria. Vedere la principale arteria cittadina chiusa per altri quattro mesi non è da città europea, ma il punto è che i napoletani sono stati abituati talmente male negli ultimi quattro o cinque anni che quasi sono assuefatti alla cattiva amministrazione e alle problematiche che continuamente emergono.

Ma se de Magistris e la Giunta hanno ormai alzato bandiera bianca, non sono da meno le altre forze politiche e istituzionali della città che continuano a discutere di nomi e alleanze (spesso calate dall’alto dai palazzi romani) per le prossime amministrative e si disinteressano dei contenuti e delle proposte per il bene e il futuro di Napoli. Anche il dibattito sul coinvolgimento della “società civile” e sul “civismo”, in vista delle prossime amministrative, sembra essersi polarizzato tra due estremi. Da una parte quelli che sostengono che la politica si fa nei partiti e che le “listarelle” civiche siano fatte di personaggi proni al potente di turno interessati solo a spartirsi incarichi e poltrone.
Dall’altra quelli che scendono in campo solo a nome della società civile, senza “sporcarsi” con i simboli di partito e che sono convinti che la soluzione non siano i partiti. Il “problema” è che spesso queste due posizioni convivono all’interno dello stesso partito, movimento, associazione.

Noi di Next Generation Napoli crediamo che, come spesso capita, in medio stat virtus, e che ognuno debba provare a svolgere al meglio il ruolo che si trova a ricoprire in questa partita. I partiti dovrebbero fare i partiti, cambiare la propria impostazione, sempre abbastanza chiusa, e aprirsi alla società civile e alla più ampia partecipazione democratica possibile. Senza farsi dettare legge o imporre accordi o candidati dalle strutture nazionali. La società civile dovrebbe dare il proprio contributo di idee, capacità, risorse, facendole convergere nella “normale” struttura democratica fatta di politici e amministratori competenti e formati a svolgere al meglio il proprio ruolo pubblico. I primi (i partiti) non dovrebbero sfruttare la partecipazione delle anime della società civile per poter affermare di essere attenti alla voce dei cittadini e per paventare un’apertura che in realtà non esiste.

Le associazioni e i movimenti non dovrebbero vedere le strutture di partito e le istituzioni come un male assoluto da estirpare, ma aiutarle a evolversi e assumere il ruolo che spetta solo a loro. L’interesse collettivo, prima di quello personale. Il bene comune, prima di quello personale. Difficile? Certamente, ma noi di Next Generation Napoli ci stiamo provando proseguendo nel nostro ragionamento sui contenuti e siamo quasi pronti a presentare un manifesto con dieci priorità per far ripartire la nostra città.

Davide Basile – *co-fondatore di Snip e promotore di Next Generation Napoli