Il sangue di San Gennaro potrà anche non sciogliersi, purtroppo per noi, e a pensarci sono dolori. Mai, però, quanto accade se viene rivelato il segreto di Pulcinella, come è appena successo. Il sindaco scassatore qualcosa scioglie, ossia la riserva, e si candida dunque a presidente della Regione Calabria. Come a dire: qui ho finito, non essendoci rimasto altro posso andare a scassare altrove. I calabresi, peraltro, sembra che si siano fatti mandare subito curnicielli deprecatori da sfregare compulsivamente. Si dice, infatti, che le botteghe dei commercianti di San Gregorio Armeno e dei negozi similari delle vie vicine abbiano subito esposto un suo pupazzetto con la testa avvolta nella bandana, glorificandolo in questo modo per avere contribuito a rimpinguare le loro entrate in un periodo in cui mancano i turisti. Luigi de Magistris, insomma, cerca uno spazio politico in altri lidi.

Aveva cominciato come Masaniello, deciso a liberare la sua Napoli dai potenti-prepotenti, invece continua l’avventura in politica come un qualunque capitano di ventura del Quattrocento o un calciatore che riscatta il cartellino, dismette la maglia arancione e ne indossa una di altro colore, entrambi in cerca di ingaggio. Non sarebbero cavoli nostri – semmai ‘nduja e cipolle di Tropea altrui – se non ci pungesse una curiosità: ma perché, se gli era venuto l’uzzolo della politica ormai professionale, non è rimasto qua per continuare a incrociare il bastone del teatro delle guarattelle col suo nemico da sempre dichiarato, ossia Bicienzo ‘o sceriffo? Ci eravamo abituati allo spettacolo delle ripetute repliche.

Anzi, per dirla tutta, ce la spassavamo assai. Ora con la sua fuga ci mancherà, anche se certo qualche giustificazione obiettivamente ce l’ha: dopo avere liberato Napoli e il lungomare, si propone di liberare altre terre irredente. L’eroe delle due regioni, insomma, il Garibaldi di Vibo Valentia, il Che Guevara non delle Ande ma della Sila, che a Napoli lascia Clemente, per di più crucciata perché un più famoso omonimo di lunga esperienza le toglie in questi giorni la scena piroettando e manovrando da Benevento dietro le quinte del palcoscenico parlamentare. Anzi, a pensarci bene, dobbiamo correggerci. Poiché lui farà pure il polemico, ma in fondo è un buono e ha voluto dare un contentino finale anche ad altri. Un giro di giostra, si sa, non si nega a nessuno.

E allora, raschiando il fondo del barile, si riesce ancora a trovare due giovani da nominare assessori sciué sciué, in articulo mortis della consiliatura. Non proprio due capitani del popolo, titolo che gli spetta di diritto ed è monocratico e non trasmissibile, ma cariche minori, cui sono stati chiamati traendoli dalla strada della contestazione a De Luca a base di urlacci e sacchetti di monezza scagliatigli addosso (a leggere lontane cronache, almeno su uno dei due) e a farli accomodare a Palazzo. Viene da ricordare un godibilissimo film di Luciano Salce, cioè Il federale. Il protagonista è Ugo Tognazzi, militante fascista incrollabile, che attorno al 25 luglio del 1943, mentre i capi se la squagliano o già si preparano al trasformismo, viene in fretta e furia nominato federale o quasi e incaricato di una missione segreta, ossia scortare a Roma dall’Abruzzo un mite professore antifascista lì confinato, personaggio nel quale si cela forse un’allusione a Ivanoe Bonomi. Sarà proprio quest’ultimo a salvarlo dal linciaggio, mentre si pavoneggia nell’ormai incongrua e imbarazzante divisa.