Dopo lo slittamento delle amministrative decretato dal governo Draghi, i napoletani non saranno chiamati alle urne prima di settembre od ottobre. Discorso diverso per gli iscritti ai partiti di centrosinistra che, all’inizio di giugno, dovranno esprimersi sul candidato sindaco della terza città d’Italia. L’ha annunciato il neosegretario del Partito democratico, Enrico Letta, senza troppi giri di parole: «La via maestra è quella delle primarie, sono sempre stato contrario agli accordi presi in stanze chiuse». E così i sostenitori di Pd, Italia Viva e delle altre formazioni politiche interessate a far parte del cosiddetto “campo progressista” dovranno indicare il loro candidato attraverso consultazioni online oppure votando sotto i gazebo.
Tutto legittimo, per carità. Anzi, è un bene che i partiti coinvolgano più o meno direttamente le rispettive basi in una scelta cruciale come quella del possibile successore di Luigi de Magistris. La domanda, però, sorge spontanea: a che cosa sono servite le frequenti riunioni del tavolo del centrosinistra napoletano e le continue trasferte romane del segretario dem locale Marco Sarracino, senza dimenticare l’impegno per strutturare l’alleanza tra Pd e Movimento Cinque Stelle in chiave antisovranista? La “strada maestra” indicata da Letta, infatti, rimette in discussione i (miseri) risultati del confronto all’interno del centrosinistra che, dopo mesi di “tavoli” conditi da non poche polemiche, è ancora privo di un programma per la ricostruzione di Napoli e oscilla tra Roberto Fico e Gaetano Manfredi come possibili candidati.
Delle due l’una, dunque. Se le primarie sono considerate uno strumento utile dal Pd, non si capisce perché il maggiore partito del centrosinistra abbia finora seguito una diversa strategia per individuare un candidato gradito anche a Iv, M5S e partiti minori della coalizione. Né si comprende perché i vertici dem napoletani, a cominciare dal presidente Paolo Mancuso e dal segretario Sarracino, si siano dichiarati contrari alle primarie, peraltro affrettandosi a bocciare candidature come quella di Antonio Bassolino. Se, al contrario, le primarie non sono considerate uno strumento utile, resta un mistero il motivo per il quale Letta le abbia di fatto imposte a tutte le comunità tra qualche mese dovranno eleggere i rispettivi sindaci, accrescendo così la confusione nel già complesso quadro politico napoletano. Non bisogna dimenticare, infatti, che anche il centrodestra è al momento privo di un candidato ufficiale e resta in attesa che il magistrato Catello Maresca sciolga la riserva e si collochi in aspettativa. Cosa che, presumibilmente, avverrà un mese prima del voto, quindi non prima di agosto o settembre.
Un solo dato è certo in questo caos generale: chi sconterà sulla propria pelle l’inconcludenza dei principali partiti è soltanto Napoli. Il ricorso alle primarie da parte del centrosinistra e il rebus Maresca nel centrodestra non fanno altro che aggravare quel vuoto di dibattito politico-amministrativo potenzialmente letale per una città già devastata da dieci anni di ribellismo e demagogia arancioni. Il Pd parla di una legge per i grandi Comuni sull’orlo del crac: a pochi mesi dalle amministrative dovrebbe già essere al vaglio del Parlamento, invece è ancora allo stato embrionale. Anche il centrodestra ipotizza una misura per ridisegnare i poteri dei sindaci, ma al momento si tratta solo di idee indefinite. Nel frattempo Napoli muore: Letta, Sarracino, Maresca e gli altri ne sono consapevoli?
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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.