Per paura di sfidare l’impopolarità, il Governo ha fermato sulla soglia d’ingresso dell’ultimo Consiglio dei ministri la norma per l’innalzamento dei limiti dei campi elettromagnetici (che sarebbe stato solo un adeguamento agli standard europei). La versione finale del decreto legge ‘asset e investimenti’ approvato dal gabinetto guidato dalla premier Giorgia Meloni ha depennato all’ultimo secondo l’articolo che dava 120 giorni di tempo per adeguare i limiti dei ripetitori. Ciò si sarebbe dovuto fare “alla luce delle più recenti e accreditate evidenze scientifiche, nel rispetto delle regole, delle raccomandazioni e delle linee guida dell’Unione europea”.

In sede istruttoria il governo aveva valutato un limite intorno ai 24 volt per metro, che è una media fra i limiti adottati nei Paesi europei (e comunque il quadruplo rispetto all’attuale). Il valore raccomandato dall’Unione europea è di 61 v/m (indicato dalla Raccomandazione del Consiglio europeo 519 del 1999). Quello stabilito in Italia con la legge quadro 36 del 2001 e il Dpcm dell’8 luglio del 2003 è molto più restrittivo, appena 6 v/m.

Tutto sembrava pronto per far compiere un balzo in avanti all’Italia e accelerare sul piano della transizione digitale, ma ancora una volta è tutto rinviato a data da destinarsi. E ancora una volta sarebbero stati i ministri leghisti – in particolare Salvini e Giorgetti – a schierarsi contro questa ipotesi. Del resto andò così anche nella precedente legislatura, quando all’epoca del Governo Draghi il ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao (uno che di questi temi se ne intende) si batté in Consiglio dei ministri per portare avanti l’innalzamento del limite, senza riuscire a superare l’ostilità dell’allora ministro dello Sviluppo economico, Giorgetti.

L’Italia, però, avrebbe bisogno di accelerare. C’è un dato che va monitorato per capire quanto il nostro Paese avrebbe bisogno di questo e altri interventi. È quello stabilito dall’indice DESI, cioè lo “European Digital economy and society index”, che ha il compito di verificare lo stato di salute dei Paesi europei a proposito di transizione digitale. È vero che l’Italia sta recuperando posizioni, ma è altrettanto vero che al momento ci collochiamo al 18° posto su 27. Non proprio lusinghiero.

La Commissione europea, poi, ci ha ricordato che quel che si fa nel nostro Paese ha un impatto sul resto del continente. “Poiché l’Italia è la terza economia dell’UE per dimensioni – scrive la commissione nella sua relazione – i progressi che essa compirà nei prossimi anni nella trasformazione digitale saranno cruciali per consentire all’intera UE di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030”.

È largamente riconosciuto che per promuovere lo sviluppo del 5G occorra la revisione dei limiti elettromagnetici. L’obiettivo della norma era agganciare i nostri parametri a quelli europei, consentendo così di soddisfare al contempo il rispetto del principio di precauzione previsto dalla legge nazionale e basato sulla raccomandazione del luglio 1999 e i necessari progressi tecnologici.

I critici fanno notare che dal ‘99 ad oggi sono passati quasi 25 anni, ma dimenticano (o fanno finta di non sapere) che quella raccomandazione è stata sottoposta a revisione scientifica ogni quattro anni e sempre confermata; inoltre nel 2020 l’ente internazionale preposto all’individuazione dei limiti, l’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), ha pubblicato un aggiornamento dei limiti che di fatto conferma i presupposti scientifici dalla raccomandazione del 1999. Ed è sempre sulla base di quella raccomandazione che a livello europeo tutti gli Stati, salvo la Bulgaria, hanno livelli di intensità del campo elettrico superiore a quello italiano. La maggioranza si colloca a 61 V/m, come stabilito dalle raccomandazioni, mentre l’Italia si ferma a 6 V/m.

Tra chi ha scelto il limite adottato a livello europeo ci sono Stati considerati normalmente “campioni” di ecologismo come Svezia, Finlandia, Danimarca, ma anche Francia, Germania, Spagna, Austria, Irlanda, Portogallo, Lettonia, Estonia, Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria e Regno Unito. Non per questo sono considerati stati nemici della salute, come invece viene accusato agli ambientalisti di casa nostra chi è favorevole all’adeguamento.

L’alternativa all’aumento dei limiti è la proliferazione degli impianti di trasmissione, che autorevoli studi stimano – nell’ipotesi più conservativa – in 6000 siti aggiuntivi con il conseguente aumento di emissioni di gas climalteranti per (sempre nell’ipotesi più conservativa) 45.000 tonnellate di CO2 all’anno. Queste antenne sono necessarie per potenziare il segnale, in assenza di adeguamento dei limiti.

Il paradosso, dunque, è che in nome dell’ambientalismo ideologico e della paura di gestire qualche critica avremo fatto più inquinamento. Ma i finti ecologisti nostrani potranno dichiararsi felici e contenti: ovviamente twittando con il loro smartphone 5G di ultimissima generazione.

Il commento di Matteo Renzi

“Il Governo ha rinviato ancora lo sblocco del 5G, tecnologia fondamentale per il nostro futuro. Mentre l’Europa va avanti, senza rinunciare alla sicurezza dei cittadini, l’Italia resta bloccata ostaggio del complottismo e dell’estremismo ambientalista – commenta Matteo Renzi, leader di Italia Viva e direttore de Il Riformista -. So che siamo tra i pochi a parlarne ma continuo a insistere: non c’è futuro per un Paese che vive di nostalgia e rifiuta l’innovazione. Spero che la Meloni capisca l’errore di lunedì in cdm e rimedi”