Le truppe israeliane stringono sempre di più il loro cerchio intorno ad Hamas a Gaza. Ieri, le forze armate hanno annunciato l’uccisione di “150 terroristi” e che la 401esima brigata ha distrutto la roccaforte del battaglione Shati, nota come “Badr”. Nel frattempo, l’ospedale al-Shifa è diventato l’epicentro del conflitto in città. Nei giorni scorsi, le Israel defense forces e lo Shin Bet avevano rilanciato le testimonianze di miliziani di Hamas secondo cui molti alti dirigenti di Hamas a Gaza si nasconderebbero proprio sotto il complesso ospedaliero. Tra questi anche il leader Yahia Sinwar. L’ipotesi è stata smentita dal direttore della struttura, Muhammad Abu Salmiya, che ad Al Jazeera ha detto che si tratterebbe di una “bugia assoluta”.

Media israeliani, invece, hanno riferito che proprio in quell’ospedale Hamas starebbe impedendo l’evacuazione dei pazienti, certificando quindi l’importanza di quella struttura per l’organizzazione. Impossibile verificare con esattezza quanto affermato dalle controparti. Quello che è invece possibile osservare è come la battaglia intorno all’ospedale sia diventata feroce. E lo dimostra il fatto che ieri Hamas ha comunicato la morte di “13 martiri” e il ferimento di decine di persone in un raid delle Idf, mentre si moltiplicano le notizie di veicoli corazzati e forze speciali che hanno circondato l’ospedale al Rantisi e quello che per Israele è la copertura per il quartier generale di Hamas. I rischi non sono pochi. L’utilizzo da parte di Hamas di strutture civili, per di più fondamentali e piene di persone come gli ospedali, implica che il pericolo di vittime collaterali sia estremamente elevato.

Così come è alta la possibilità che si rendano inutilizzabili parti di questi edifici che accolgono malati, feriti e rifugiati. Il tema è stato segnalato ancora una volta sia dalle Nazioni Unite che dalla Croce Rossa internazionale. Gli alti comandi delle Tsahal, così come i decisori politici, sono perfettamente consapevoli dei rischi sia militari che diplomatici. Ma ieri sera, il portavoce delle Idf ha lanciato un monito chiaro: “Se l’esercito vede i terroristi di Hamas sparare dagli ospedali di Gaza, farà ciò che è necessario fare”. La protezione dei civili è al centro della diplomazia statunitense, particolarmente attiva per cercare di trovare un equilibrio tra gli obiettivi di Israele, cui è stato garantito massimo supporto nel piano di eradicazione di Hamas dalla Striscia di Gaza, e la tutela dei civili in pericolo. Ieri da Nuova Delhi è tornato a parlare il segretario di Stato Anthony Blinken, che da ormai un mese vola da una capitale all’altra per stabilire le linee rosse dell’amministrazione Biden. In India, Blinken, ha affermato che “troppi palestinesi sono stati uccisi e troppi hanno sofferto nelle ultime settimane”, ha apprezzato la scelta del governo israeliano di concedere tregue umanitarie di quattro ore nel nord della Striscia ogni giorno, ma ha anche confessato che “c’è ancora molto da fare in termini di protezione dei civili e fornitura di aiuti umanitari”.

La tensione tra Israele e Stati Uniti è palpabile. Nonostante il sostegno di Washington all’operazione militare e l’invio di navi, aerei e armi per frenare ogni possibile escalation. Lo hanno confermato anche le dichiarazioni del premier Benjamin Netanyahu sul futuro della Striscia di Gaza immediatamente dopo il conflitto. Alle comunità al confine con l’exclave palestinese, il primo ministro ha comunicato che la sicurezza della Striscia nel dopo Hamas sarà completamente nelle mani di Israele. E secondo i media locali, il premier avrebbe anche escluso pubblicamente l’ipotesi di una forza internazionale come suggerito proprio dagli Usa e dai partner occidentali. Le parole di “Bibi” si distanziano dalle volontà di Biden, che da tempo perora la causa di un’Autorità nazionale palestinese che abbia piena responsabilità della Striscia di Gaza dopo la cancellazione di Hamas.

Tema su cui ha aperto anche Abu Mazen. Pochi giorni fa, come ulteriore prova della tensione latente tra i due alleati, era giunta inoltre la telefonata tra la vicepresidente Kamala Harris e il presidente di Israele Isaac Herzog. Nella conversazione, la rappresentante Usa aveva avvertito sulle attività dei “coloni estremisti” in Cisgiordania, temendo per una regione dove negli ultimi giorni si sono registrati diversi episodi di violenza. A preoccupare è inoltre il terzo potenziale fronte, quello del Libano, dove ieri sono stati registrati ancora lanci di missili contro Israele: uno di questi ha provocato il ferimento grave di diversi soldati. Mentre oggi dovrebbe esserci un nuovo discorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. E a riprova del rischio di un’escalation che coinvolga le milizie sciite nella regione, sia gli Stati Uniti che Israele hanno lanciato attacchi contro obiettivi iraniani in Siria. Proseguono, infine, le trattative per la liberazione degli ostaggi, che per il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, “richiederanno ancora tempo”.