Alla fine ad Atreju non c’è stato nessun dibattito fra  Giorgia Meloni e il presidente argentino Javier Milei né col premier del Libano, Najīb Mīqātī. Un’occasione persa, che denuncia quanto inadatta e insicura si senta Meloni: consapevole di non capirci nulla di economia, non se l’è sentita di dialogare nemmeno amichevolmente con l’economista Milei, che del resto nel suo discorso letto ha chiarito bene cosa pensa “de los politicos“, mettendoli tutti, rossi, bianchi e neri, in uno stesso calderone: li disprezza in modo vivo, tutti, alla stessa maniera, perché hanno guidato il suo paese senza capire nulla di economia e di come la gggente, gli argentini, vivevano.

Credo che a Meloni siano abbondantemente fischiate le orecchie. Sarà per questo suo populismo a 24 carati che la nostra Presidente del Consiglio gli ha donato la cittadinanza italiana?

Buffa la reazione del pubblico di Atreju: tutti in visibilio per il presidente argentino, tutti a urlare “libertà, libertà!” e a gasarsi per le sparate populiste di Milei. Qualche incertezza quando ha citato addirittura Lenin: “Come diceva Lenin, che era una zecca (“uno zurdo“) ma ci capiva, senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario”, ha scandito dal palco. Qualche debole applauso si è sentito pure lì, comunque. Milei poi ha parlato anche della “necessità di dare vita ad un internazionalismo della destra” e la cosa è rilevante e sarà foriera di novità. Così come è addirittura condivisbile la fiera difesa dell’Occidente che Milei ha proclamato, contro quelle comunità woke e anti-occidentali che vorrebbero annichilire il nostro modo di vivere, autoproclamandosi alla testa di una rivoluzione tanto quanto Vladimir Ilic. Ma quegli urli di “libertà” non credo abbiano capito che la guerra di Milei è anzitutto contro lo Stato, i dipendenti statali, le corporazioni tipo tassisti e balneari che hanno zavorrato l’Argentina. Milei ha continuato: “Dare battaglia culturale al potere non è solo consigliabile, ma è un obbligo. Avere una buona idea è solo l’inizio”.  E ancora: “Dicono che la politica è l’arte del possibile, ma noi stiamo dimostrando tutti i giorni che in realtà la politica è l’arte di rendere possibile ciò che i mediocri dicono che è impossibile” ha sganciato sulla folla plaudente in un passaggio.

In due parole, Milei è un guascone populista libertario e liberista, ossia tutto ciò che la Destra Sociale non è, e non si può certo dire che Fratelli d’Italia sia poi così lontana dalla vecchia Destra Sociale. Libertario, ma contro il diritto all’aborto, e la cosa è talmente ossimorica da andare citata.

Una nota sull’happening: Atreju è molto ben organizzato, con la pista di ghiaccio artificiale per il pattinaggio che sarà certamente uno spreco energetico, nei +10° C di Roma, ma ha la funzione di attirare le famiglie e gli adolescenti che non sanno nemmeno se viviamo in Monarchia o Repubblica e cosa sia Fratelli d’Italia (né il partito, né l’inno, a meno che frequentino gli stadi), ma a pattinare su ghiaccio gli piace andare e ci va. Poi molti stand, ristoranti e le consuete presenza da festa dell’Unità, ovviamente con la curvatura nazionalista (il motto della kermesse è “la vita italiana“) e non internazionalista. Va però riconosciuto che i post-fascisti (mica tanto post, in definitiva) hanno ben imparato la lezione leninista e del vecchio PCI di come si organizzano queste feste. Il risultato? Un pienone di gente come raramente si vede per gli happening politici, e ieri su Roma pioveva che dio la mandava, ma Atreju era comunque piena così.

Qualche difetto non manca: avrebbero potuto sottotitolare sugli schermi giganti i discorsi dei due premier stranieri, mentre non l’hanno fatto e la gente doveva scaricarsi un QR code sul cellulare per sentire la traduzione simultanea dallo spagnolo o dall’inglese. Ho notato che praticamente nessuno in platea era in grado di comprendere l’inglese e lo spagnolo, e l’effetto era un po’ paradossale: 2500 persone in platea pigiate come l’uva, ognuno con l’orecchio incollato al proprio smartphone per ascoltare la traduzione in italiano, che dunque rimbombava sotto il tendone. Ero praticamente l’unico che ha capito tutto sia in inglese che in spagnolo. Ho pensato che a questi italiani così strettamente monolingua debba fare molta impressione una Meloni poliglotta.

Curioso poi il pantheon di Atreju, postato in un grande dazebao all’ingresso; fra i nomi che ricordo: Montessori, Don Bosco, Marconi, Colombo, Marco Polo, Olivetti, Mattei... al di là degli argonauti o dei commercianti esploratori dell’Oriente estremo (certo contrari a ogni protezionismo, però) sono tutti nomi di centrosinistra, antifascisti come Mattei (già capo partigiano), Olivetti (agente segreto che collaborava con i servizi segreti britannici per rovesciare il regime fascista, iscritto al PNF come copertura) e Don Bosco (che morì nel 1888 ma possiamo dedurre dal suo insegnamento che sarebbe stato un classico cattocomunista)… sembra insomma un partito che deve faticosamente ricostruirsi un suo pantheon, non potendo postare il Duce e nemmeno più Bottai, e non riesce a far di meglio che pescare in un paniere di uomini e donne ben lontani dai Fratelli d’Italia di oggi.

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Scrivere e insegnare sono le due cose che so far meglio. Beh, almeno tra quelle che si possono raccontare. Nel 2015 la Chicago Quarterly Review ha pubblicato la traduzione in inglese dei primi due capitoli del mio romanzo più venduto, il long-seller Angeli da un’ala soltanto, individuandomi come uno degli scrittori italiani contemporanei più interessanti. Peccato se ne siano accorti solo loro. I miei tre libri più recenti s'intitolano "Lo so f@re! Guida all'apprendimento misto e all'insegnamento (anche) a distanza” (Mondadori Education, 2020), “Tondelli: scrittore totale. Gli anni Ottanta fra impegno, camp e controcultura gay” (Pendragon, 2021). Nel maggio 2022 è uscita la terza edizione di “Angeli da un’ala soltanto” sempre per le edizioni Pendragon.