Con la morte mercoledì scorso del generale dei carabinieri Umberto Rocca scompare l’ultimo testimone di quanto avvenne il 5 giugno del 1975 alla cascina Spiotta di Arzello in provincia di Alessandria. Il giorno prima le Brigate Rosse avevano sequestrato a scopo di estorsione Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario dell’omonima casa vinicola. L’allora tenente Rocca, insieme al maresciallo Rosario Cattafì e agli appuntati Giovanni D’Alfonso e Pietro Barberis, individuarono nella cascina Spiotta il luogo della detenzione dell’ostaggio. Durante l’irruzione morirono nel conflitto a fuoco D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio. Rocca, colpito da una bomba a mano, perse un braccio e rimase ferito ad un occhio. I dettagli della sanguinosa sparatoria non furono mai precisati completamente e non venne mai identificato l’altro brigatista che era con Cagol e che era riuscito a scappare.

Lo scorso anno, il figlio di D’Alfonso, anch’egli carabinieri, ha chiesto ed ottenuto la riapertura delle indagini. Tesi accolta dal gip di Torino che ha iscritto a maggio per omicidio l’ex brigatista Lauro Azzolini, ora ottantenne, e Curcio per concorso morale. Il Ris dei carabinieri ha trovato alcune sue impronte digitali su un memoriale sequestrato nel covo milanese delle Br di via Maderno, nel 1976, dove si nascondeva Curcio. “Quel documento venne visto e letto oltre che da me anche da tutti o quasi i membri dell’organizzazione nelle rispettive colonne, dato che riportava nel dettaglio come era avvenuta l’uccisione di una delle fondatrici delle Br, una persona peraltro molto cara a tutti noi”, aveva dichiarato Azzolini dopo aver saputo di essere indagato.

Arrestato nel 1978 e condannato all’ergastolo, era poi tornato libero grazie ai benefici di legge. Sulla morte di Cagol, Azzolini, che poi avrà un ruolo decisionale nel rapimento di Aldo Moro, nell’attentato ad Indro Montanelli, e nell’uccisione a Biella del vicequestore Francesco Cusano, aveva aggiunto: “Mi colpì molto, perché da quanto si leggeva si traeva l’impressione che fosse stata uccisa quando ormai si era arresa disarmata, e ricordo che quel testo venne anche pubblicato sul “giornale” clandestino delle Br per il quale, a fronte delle informazioni scritte dell’accaduto giunteci, passò di mano in mano per redigerne la sua stampa”.

Azzolini, arrestato nel 1978 e condannato all’ergastolo, poi tornato libero grazie ai benefici di legge, nel 1987 era stato assolto per questa vicenda per “non aver commesso il fatto”. La sentenza, e gli atti dell’inchiesta, però, spazzati via dall’alluvione di Alessandria del 1994. “Non potendosi conoscere quali sarebbero state le fonti di prova acquisite in un procedimento conclusosi con provvedimento oggi irrevocabile — ha scritto in una memoria il difensore di Azzolini, l’avvocato Davide Steccanella — risulta impossibile ogni valutazione comparativa con quelle nuove indicate dal richiedente”. Con la morte di Rocca, che per l’atto d’eroismo venne decorato di medaglia d’ora al valor militare, cala così il sipario su una delle pagine più brutte degli anni di piombo.