La sensazione era chiara fin da subito, e nel giro di pochi giorni le impressioni hanno lasciato spazio alla certezza: il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri non ha spento il fuoco delle polemiche sull’intesa tra Italia e Albania. Il Tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di un migrante proveniente dall’Egitto, ritenuto un posto in cui si consumano «gravi violazioni dei diritti umani».

Il campanello d’allarme

Un campanello d’allarme per il governo dopo il nuovo provvedimento che – nelle intenzioni – avrebbe dovuto rafforzare la lista dei 19 paesi sicuri, elevandola a norma primaria e riassumendo in legge l’indicazione dell’elenco. Un modo per consolidare la propria posizione anche in sede di ricorso. E invece la normativa europea viene ritenuta ancora prevalente su quella nazionale. In attesa dell’esito della battaglia legale, l’esecutivo tira dritto nel tentativo di blindare l’asse con Tirana. Dagli ambienti di Palazzo Chigi trapela «rabbia». Anche perché la convinzione resta la stessa: si tratta di una decisione politica che non spetta ai giudici. Il ragionamento è che, seguendo la linea della toghe, alla fine i rimpatri «non avrebbero più ragione d’essere» e dunque «dovremmo tenerci tutti gli irregolari in Italia». «Così non può andare», osservano dal centrodestra. Determinato ad andare avanti «con ancora più convinzione». Il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, se la prende con «alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi».

La nave Libra

Il governo vuole evitare un danno d’immagine. Gli hotspot battenti bandiera italiana vuoti hanno un solo significato agli occhi dell’opinione pubblica: il flop del piano. Un’equazione che rischia di far perdere credibilità al modello Albania e di conseguenza all’esecutivo. Ecco perché non si vuole piegare la testa: indietreggiare vorrebbe dire sostenere che l’accordo non è realizzabile e rinunciare al meccanismo dei rimpatri. Da qui la volontà di sfruttare il più possibile i centri di Shëngjin e Gjadër, magari con numeri via via più alti rispetto ai primi 16. Non a caso si guarda alla nave Libra. A bordo del pattugliatore della Marina Militare ci sarebbe un piccolo gruppo di 8 persone  intercettato e soccorso nelle scorse ore dalle autorità italiane in acque internazionali a sud di Lampedusa.

Ora bisogna attendere le operazioni, non proprio rapidissime. Prima c’è un attento pre-screening per verificare che abbiano i requisiti necessari per il trasferimento nei centri in Albania. Nell’hotspot di Shëngjin vengono definite le procedure di identificazione: chi viene sottoposto al trattenimento passa al centro di Gjadër per il rimpatrio, mentre gli altri fanno rientro in Italia.

Sullo sfondo c’è un’altra grana: Luciana Sangiovanni, presidente della sezione immigrazione del Tribunale di Roma, ha sospeso l’efficacia del diniego posto della commissione territoriale riguardo la richiesta di asilo presentata da uno dei 12 migranti che erano stati trasferiti in Albania. Così gli atti sono stati rimessi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La polemica politica s’infiamma ulteriormente. Matteo Mauri, deputato e responsabile sicurezza del Partito democratico, denuncia la «natura propagandistica di tutta l’operazione» e punta il dito contro l’utilizzo della nave Libra: «È allucinante che sia al largo, in acque internazionali ma a due passi dall’Italia, aspettando che venga riempita di migranti in attesa di essere portati in Albania o riportati in Italia». Il deputato Alfonso Colucci, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari costituzionali, si dice pronto a valutare un esposto integrativo alla Corte dei Conti «per chiedere di verificare la sussistenza di un ulteriore danno erariale». La senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva, fa leva sui costi ritenuti eccessivi: «Come giustificare il -77 milioni alla sicurezza, mentre i reati aumentano e Meloni butta 700 milioni di euro nel fallimentare progetto Albania?».