Alberto Pagani, ex capogruppo del Partito Democratico in Commissione Difesa alla Camera durante la legislatura XVIII, oggi advisor nel settore della sicurezza e docente presso l’Università di Bologna, non esclude l’invio di un corpo italiano di peacekeeping in Ucraina.

Le parole di Vance da Monaco segnano uno spartiacque. Esiste ancora lo spirito atlantico, l’asse Europa-America?
«Esiste nella mente e nelle speranze di chi ci crede, e lo crede ancora utile, in Europa e in America. L’amministrazione Trump non ha questa idea, mi pare evidente. Ma Trump è protempore e non è l’America. L’Occidente è la parte del mondo che condivide i valori della libertà e della democrazia, nasce nell’asse Europa-America, e qui ha il suo cuore e il suo cervello. Abbandonarlo significa accettare l’idea che le alleanze nuove, quelle del nostro tempo, tornino ad essere basate sugli interessi dei più forti, come è stato per secoli, e non sulla condivisione di valori».

Trump ci sta abituando a giochi pirotecnici. Va preso sul serio, interpretato, considerato un fenomeno di post-truth applicata alla politica?
«Io credo che stia volontariamente bombardando il campo di gioco e per demolirlo e riposizionarsi nelle condizioni di suo massimo vantaggio negoziale, nei confronti di tutti. Vuole massimizzare i vantaggi e le opportunità per gli Stati Uniti d’America e per cittadini americani, a danno di chiunque. Di alleati o avversari, indistintamente. Comprenderlo è necessario per poter agire di conseguenza».

Secondo Draghi dobbiamo saper fare a meno degli Stati Uniti, d’ora in poi.
«Il futuro è un tempo più lungo dei quattro anni dell’Amministrazione Trump. Per noi europei questi saranno quattro anni difficili, ma dobbiamo cogliere le opportunità che si rivelano nelle difficoltà. È inutile perdere tempo a piangersi addosso, per quello che non è stato fatto negli anni scorsi: ora bisogna prendere decisioni serie sulla politica Estera e di Sicurezza e Difesa europea. Se l’Europa vuole sfuggire ad un destino di irrilevanza e declino non ha altra scelta».

Serve una nuova Europa. Vaste programme?
«Serve una visione comune, europea dell’interesse nazionale. Finché ciascuno pensa solo per sè, e non si fa carico di una responsabiltà comune, non c’è modo di progredire. Una voce unica è tale solo se rappresenta tutti, e questo non è semplice con le regole l’architettura istituzionale europea».

E servono Forze Armate Europee. A che punto siamo?
«Lasciamo perdere gli slogan, perché bisogna ragionare sulle capacità comuni, a cominciare dal comando e controllo e dalla capacità reale di intervento, che non è certo garantita dai cinquemila uomini della EU intervention force, quando quella della NATO è cento volte tanto. Gli obiettivi concreti vanno perseguiti in modo graduale, progressivo e realistico, ma anche determinato. Un passo alla volta, con sollecitudine, si deve rendere l’Europa autonoma nelle sue capacità di Difesa, integrando le Forze Armate nazionali, senza vaneggiare di fonderle, perché non serve nemmeno, al momento. L’autonomia strategica europea non è in contrasto con la nostra appartenenza all’Alleanza Atlantica, ma la migliora, perché rende l’Europa più utile e anche più credibile».

La percentuale di Pil italiano destinato alla difesa dovrà crescere. Di quanto? E per fare cosa?
«Che avrebbe dovuto crescere era una novità nel 2008, quando ce lo chiese il Presidente americano Obama; ora non se ne dovrebbe neanche più discutere. Il punto vero è per fare cosa. Io credo che la priorità debba essere data alle tecnologie abilitanti, alle funzioni e alle capacità che non abbiamo; per le quali dipendiamo dagli Stati Uniti. Dunque lo spazio, soprattutto per quel che riguarda l’orbita media e bassa, la mobilità militare, cioè la capacità di trasporto militare e la difesa missilistica, che non può essere nelle mani di alleati che risiedono da un’altra parte. Per essere davvero sicura l’Europa deve contare solo sulle proprie forze».

Vede necessaria anche una integrazione tecnologica tra sistemi, software, tecnologia europea?
«Per fortuna la standardizzazione Nato, che coinvolge la gran parte dei paesi europei, è di grande aiuto. I nostri militari sono già abituati a lavorare insieme, nelle missioni internazionali, e quindi c’è già una standardizzazione che lo permette. Quello che bisogna fare ora è condividere i requisiti dei nuovi grandi programmi per il procurement dei nuovi sistemi d’arma, e penso ad esempio al nuovo carro armato ed al nuovo caccia, di sesta generazione. Oggi bisogna progettare e costruire insieme».

L’Europa e l’Ucraina: abbiamo dato tanto, non possiamo essere esclusi dal tavolo della pace.
«Se andiamo sempre a rimorchio dei nostri principali alleati, con una postura cortigiana e con una mentalità subalterna, è ovvio che possiamo essere esclusi, quando si arriva al dunque. Se hai dato tanto, ma non sei utile e necessario per risolvere il problema, ti diranno “grazie e arrivederci”. Ma per essere utile l’Europa deve avere una politica estera europea, non 27 politiche estere nazionali diverse, che diventano tutte inutili ed insignificanti».

Alcuni paesi europei hanno già dato disponibilità per mandare truppe di peacekeeping, boots on the ground, in Ucraina. L’Italia dovrebbe fare la sua parte?
«Fin dal 1982, dai tempi della missione ITALCON Libano del Gen.Angioni, l’Italia non si tira indietro e fa la propria parte. Oggi i nostri militari sono impegnati in quaranta diverse missioni internazionali di pace, in tutto il mondo, e si distinguono per le capacità di mediazione e di dialogo, che ci viene riconosciuto da tutti. Possiamo farlo anche in Ucraina, senza dubbio».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.