“Il principio di uguaglianza della Costituzione italiana in realtà non esiste: tutto va bene se hai i mezzi per cavartela da solo, di arrangiarti, ma quando perdi tutto hai veramente la sensazione che sei tu contro il tuo stesso Stato che dovrebbe aiutarti”. Sono queste le parole amare di Alessandra, una mamma di 35 anni. Il suo bambino ne ha solo 5 e soffre di un disturbo dello sviluppo, un ritardo del neurosviluppo, con compromissione del linguaggio della comunicazione e una forma di disprassia. È un bambino borderline tra lo spettro autistico e il ritardo dello sviluppo. Alessandra è una mamma abituata a lottare quotidianamente contro la malattia e contro tutte le difficoltà che questa comporta. E non si arrende mai. Con l’inizio della quarantena, quindi della chiusura della scuola e dei servizi che normalmente sono a disposizione di suo figlio sono iniziati problemi ancora più grandi. Innanzitutto questo per i bambini con difficoltà è significato perdere le loro abitudini e i punti di riferimento. In più rischiano di regredire non avendo la stimolazione adeguata e per la reclusione imposta soffrono anche la perdita degli amici e dei compagni di classe a cui sono legati in modo fondamentale.

“In questa condizione i nostri bambini possono manifestare nuovamente problematiche che sembravano risolte o superate – dice Alessandra – e in più tutto questo rende impossibile ai genitori andare a lavorare e vivere una vita normalmente: se non hai la scuola, non hai un appoggio e non puoi nemmeno chiamare una baby sitter perché per la maggior parte non sono nemmeno preparate per tenere un bambino che ha delle difficoltà. Poi a settembre si tornerà a scuola part time. E quindi? A Noi chi ci aiuta? Come possiamo trovare un lavoro per mettere il piatto in tavola e garantire le terapie ai nostri figli?”. Non basta parlare diritti per la legge 104 che consente ai genitori alcuni giorni limitati per seguire i loro figli con particolari necessità legate alla salute. Un pugno di giorni che sono un diritto per pochi genitori che hanno la fortuna di avere lavori che comportano anche dei diritti come questo. Tutta altra storia per chi è costretto a lavorare in nero: anche il lavoro diventa un diritto da accaparrarsi con fatica per chi deve dedicarsi a un figlio che soffre di disturbi.

“Attualmente mio figlio sta a casa con me che lo rincorro da tutte le parti cercando di fargli fare quante più attività è possibile. Ho studiato da sola cosa potevo fargli fare online. Se non lo impegnassi io in qualche modo passerebbe tutto il tempo ad aprire e chiudere il frigorifero o a saltare sul letto e ripetere suoni senza senso”. Le difficoltà che ogni giorno deve affrontare una mamma come Alessandra sono tante. Innanzitutto tenere impegnati i figli e gestire la parte emotiva del prendersi cura di situazioni difficili h24 7 giorni su 7. “Ci sono anche bambini la cui situazione è molto più difficile: autolesionisti o che davvero non riescono a fare nulla per cui la mamma deve cercare di non lasciarsi andare alla disperazione. Senza scuola, senza terapia sei solo a combattere contro la malattia di tuo figlio”. Alessandra racconta che i genitori di bambini come il suo sono sempre abbandonati e messi da parte. Lo Stato non riconosce la loro situazione difficile come una priorità e nemmeno come una necessità a cui mettere mano per risolvere. “È come se facessimo una lotta perenne anche contro lo Stato a cui dobbiamo addirittura dimostrare di avere un problema, uno scontro perenne con la burocrazia, invece di essere presi per mano e sollevati”.

Per questi eroici genitori non c’è solo da affrontare la quotidianità ma anche spese enormi che la malattia dei loro figli comporta. “Le terapie costano una media di 30 euro l’ora, bisogna farne minimo 4 a settimana. In teoria sarebbe gratuito da parte dello stato ma in realtà tocca anticipare soldi che poi arrivano svariati anni dopo. Poi c’è da pagare la scuola privata che possa seguire adeguatamente tuo figlio per i problemi che ha, perché la scuola pubblica ha tanti limiti. Poi ci sono i costi delle terapie aggiuntive che lo Stato non copre, le visite specialistiche, i viaggi della speranza, i protocolli sperimentali a cui decidi di testare. Io per esempio ho deciso di seguire una dieta specifica che costa tanti soldi. Un bambino così costa anche mille euro al mese”. Quello che lo Stato mette a disposizione non basta e genitori come Alessandra fanno davvero tanta fatica, come se non bastasse il dolore stesso nel vedere un figlio che soffre. “Chiedo allo Stato di rimettere sul tavolo i temi dell’infanzia e della gestione della disabilità, che finalmente si investa su quello. Che ai bambini venga data la priorità, che venga fatto un intervento sugli insegnanti di sostegno, che si parli della gestione della famiglia e anche del ruolo stesso della donna. Chiedo allo Stato di farsi carico di questa realtà e che si investa sui bambini e sulla disabilità”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.