Settimana decisiva per la politica di allargamento. L’Unione europea ha presentato, mercoledì 8 novembre, i report per i paesi candidati per entrare nell’Unione europea.
Mentre per Ucraina e Moldavia l’avvio dei negoziati era sicuro, la Bosnia ed Erzegovina è il paese dei Balcani che più ha tremato di all’idea di non potere cominciare i negoziati. Sicuramente il lavoro svolto nell’ultimo anno, da quando ha ottenuto lo status da candidato, non è sufficiente. C’è inoltre la questione di un sistema istituzionale complicato, che non facilita le misure di adeguamento. Oltre a ciò, i politici bosniaci hanno dimostrato di avere più interesse a mantenere lo status quo, che a ragionare di una vera riforma costituzionale, necessaria per poter avanzare nelle varie richieste dell’UE.

Alla fine la Commissione europea ha optato per un compromesso: annunciare che i negoziati cominceranno quando il paese avrà eseguito le riforme mancanti.
Premesso ciò, è necessario chiedersi se l’Unione europea abbia capito che sta perdendo di credibilità, in politica estera ma soprattutto nella politica di allargamento. Infatti, i due pesi e due misure che mette in atto quando chiede alla Bosnia ed Erzegovina di rispettare lo stato di diritto, ma allo stesso tempo non prende provvedimenti sufficienti contro Ungheria o Polonia per rispettare le stesse identiche regole, mettono in crisi la sua credibilità.

Cosa vuole ottenere l’Unione nei Balcani?

Milorad Dodik, nazionalista serbo-bosniaco, si sente rafforzato da questo e usa spesso nella sua retorica populista l’argomento dei doppi standard. Forse è davvero arrivata l’ora per l’Unione europea di ripensare completamente a ciò che vuole ottenere nei Balcani. Perché per ora, quello che traspare è il mantenimento dello status quo, non la volontà di spingere per un possibile futuro europeo. Status quo che non vuol dire affatto stabilità, come si è visto negli ultimi mesi con il rafforzarsi delle tensioni tra etno-nazionalisti e democratici. Oltre al rischio di nuovi conflitti, lo status quo non permette al paese di fare passi avanti verso una trasformazione democratica sostenibile.
Lo stato di diritto è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea, nell’articolo 2 TUE. Uno di quei valori che non possono essere infranti, altrimenti ci possono essere conseguenze. Possono, ma non sempre vengono messe in atto, come si è visto per anni nell’inerzia nei confronti dell’Ungheria e della Polonia. E se mancano le conseguenze in reazione ad una minaccia per i propri valori fondamentali, la credibilità dell’Unione intera viene meno.
La Bosnia ed Erzegovina deve ancora fare molta strada verso Bruxelles. I negoziati sono vicini, ma sempre a distanza di sicurezza. Una cosa è certa: o l’Unione europea cambia approccio nei confronti dei Balcani, oppure fallirà nel suo tentativo di rafforzare la regione.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.