Al paese con gli amici si camminava spesso e volentieri. Ogni occasione era buona, almeno prima di prendere la patente e la macchina. Lo struscio, avanti e indietro, a provare a far succedere qualcosa. Dalla piazza alla chiesetta al Calvario a quella di Santa Maria, e oltre era già praticamente campagna. Si andava pure tra i vicoli della parte vecchia, quattro cani per strada, troppi bar. Eravamo Basilischi e mica lo sapevamo.

Non lo sapevamo perché guardavamo Blow e Pulp Fiction, qualcuno considerava i Metallica più grandi dei Beatles – e che ci vuoi fare, pietà. Basilisco, dal greco “Piccolo Re”, oppure “Re dei serpenti”, tra le fonti della discussa etimologia di Basilicata. Basilischi come il capolavoro (per alcuni il più grande) di Lina Wertmüller che aveva origini lucane, di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, e che è morta ieri a Roma, a 93 anni. Era il 1963 quando uscì il film, premio Vela d’Oro al Festival di Locarno.

“Era il 1961. Stavo andando con Tullio Kezich a trovare Francesco Rosi sul set di Salvatore Giuliano. Prima di giungere sul posto dove si girava il film, decidemmo di fare un giro in Puglia per visitare alcune cattedrali. Volli passare per Palazzo San Gervasio, il paese natale di mio padre. Fu per me la scoperta di un mondo, di quella parte d’Italia tagliata fuori dalle rotte delle tante guerre e dalla Storia”, raccontò nella sua autobiografia edita da Feltrinelli Tutto a posto e niente in ordine. “Mi aveva fatto un grande effetto vedere i miei zii, i miei cugini e lo stile di vita che conducevano in quella terra del profondo Sud”.

E quindi scrisse quella storia: sceneggiatura e regia. Il film costò 34 milioni di lire. La troupe era quella di 8 e ½ di Federico Fellini del quale Wertmüller era stata aiuto regista. Niente alberghi o pensioni, l’alloggio per tutti in una casa che l’Inps aveva realizzato per i contadini: al primo piano le camere da letto, al pian terreno una piccola buvette. “Per me la sconosciuta Basilicata nella quale mi apprestavo a girare il mio primo film era stata fin dall’infanzia la favolosa ‘Terra dei Re’, lontana, come lontani erano pure quei nonni dai roboanti nomi di mitici baroni svizzero-tedeschi. Ora scoprivo la verità: era una terra dove vivono uomini piccoli e forti come tronchi d’olivo e donne dal volto greco e con gli occhi saraceni, dentro case bianche di calce e grigie di pietre. Una terra ricca di leggende misteriose”.

I Basilischi – non il cartello criminale potentino, certo – sono lucertole al sole, vitelloni di un Sud interno, Medio Occidente, a crogiolare nella noia, nell’impassibilità della controra che gocciola per tutto il film. Con apatia, pigrizia, indolenza. La piazza, il circoletto, un lp spedito dall’America, i parenti turisti di ritorno d’estate, lo struscio, e non cambiava mai niente. E il notabilato locale, le raccomandazioni e il clientelismo, il familismo amorale e “quella vecchia idea” del fascismo e via dicendo. Aveva raccontato già tutto: facendo ridere e sanguinare. “È la controra di un giorno d’estate, ma pigliamo un giorno qualsiasi, forse dell’anno scorso, forse dell’anno prossimo, tanto è uguale”, spiegava la voce fuoricampo.

Quando finalmente, qualche anno più avanti, vidi I Basilischi mi vidi un po’ da fuori, eppure era di quarant’anni prima: com’era possibile? Il sud immobile, soprattutto quello dei paesi, esilarante e grottesco allo stesso tempo. Tutto uguale: l’amico col piede alzato per fuggire via, finalmente; quello che “chi te lo fa fare”; quello sempre in giro a ogni ora, quello che vi faccio vedere io e invece poi niente. Gli appostamenti alle ragazze, che dove diavolo sono e dove si nascondono, “qua le tengono chiuse a casa”, e la colpa che inevitabilmente era sempre della “mentalità”, “l’ambiente chiuso”. È mai possibile che neanche una festa si riuscisse a organizzare? “Possibile che in questo paese non succede mai niente?”. E invece qualcosa è successo: ha finito di succedere.

“Qua si chiacchiera tanto, si chiacchiera, si chiacchiera” – sempre la voce fuoricampo – e intanto altro che polpa, anche l’osso si è polverizzato. Dati Istat: alla fine del periodo 2017-2066, nello scenario intermedio, la popolazione residente passerebbe da 570.157 residenti (al 1/1/2017) a 399.164 abitanti nel 2066. “Pensate – ha detto il governatore lucano Vito Bardi – i nati passerebbero da 4.120 unità (2017) a 2.163 unità nel 2065, mentre i morti da 6.534 unità a 7.193, in numero più di tre volte superiore al numero dei nati”. Quel Sud si è estinto, è cambiato, non è più la stessa cosa: un deserto che avanza. Non è rimasto nessuno neanche a passeggiare.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.