Lina Wertmüller è morta a Roma a 93 anni: è stata una grande del cinema italiano, prima donna candidata all’Oscar nel 1977 per Pasqualino Sette Bellezze. La statuina dell’Academy hollywoodiana le venne quindi tributata, alla carriera nel 2020. “Perché lo chiamiamo Oscar? Non vogliamo cambiare nome con quello di una donna? Chiamiamolo, che so, Anna”, disse in quell’occasione parlando a braccio, in italiano, accompagnata da Isabella Rossellini e Sophia Loren mentre Leonardo DiCaprio, Quentin Tarantino, Harvey Keitel, Laura Dern e tanti altri colleghi battevano le mani e intonavano il coro “Lina, Lina, Lina”.

Era nata il 14 agosto 1928 a Roma, figlia di un avvocato originario di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, da una famiglia aristocratica di origini svizzere. La madre invece era romana. A scuola conobbe Flora Carabella che sarebbe diventata la moglie di Marcello Mastroianni, che sarebbe diventato uno tra i suoi attori-icona insieme con Giancarlo Giannini. Cominciò a frequentare il mondo del cinema e del teatro da adolescente. Si iscrisse all’Accademia Teatrale diretta da Pietro Sharoff, animò un teatro di burattini, collaborò con Guido Salvini, Giorgio De Lullo, lavorò in radio e televisione.

È stata la prima donna ad avere successo in tv ai tempi degli “sceneggiati” con la trionfale accoglienza del Giornalino di Giamburrasca tra il 1964-65 con Rita Pavone e ha diviso con Iaia Fiastri il privilegio di avere avuto spazio nella premiata ditta Garinei&Giovannini. La sua prima apparizione sul grande schermo nel 1953 nel ruolo di segreteria di edizione con … e Napoli canta! di Armando Grottini, cui seguì poi La dolce vita di Federico Fellini come aiuto regista. L’esordio alla regia nel 1963 con I basilischi, girato tra la Basilicata e la Puglia, Vela d’argento al Festival di Locarno, mentre nel ’68 sotto lo pseudonimo Nathan Witch diresse il western all’italiana Il mio corpo per un poker con Elsa Martinelli.

Lina Wertmuller è stata legata per 44 anni con lo scenografo e costumista Enrico Job, conosciuto quando la sua carriera stava per decollare. “Un uomo luminoso – disse quando Job morì nel 2008 – un grande artista, un fine intellettuale, un pezzo raro. Ho avuto il dono di stare con lui 44 anni, siamo stati due compagni di gioco”. I due avevano adottato insieme la figlia Maria Zulima. Il suo primo, grande successo nel 1972, Mimì metallurgico ferito nell’onore, in cui per la prima volta fece coppia artistica con due suoi attori-feticcio, Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. Il film ebbe un travolgente successo in sala e si guadagnò l’invito al festival di Cannes.

Degli anni ’70 i capolavori: Film d’amore e d’anarchia, Tutto a posto e niente in ordine, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, Pasqualino Settebellezze. Successi di pubblico e critica. Degli anni ’80 un maggiore impegno su temi storici e politici; negli anni ’90 una nuova giovinezza e il sodalizio con Sophia Loren e con Paolo Villaggio in Io speriamo che me la cavo dal romanzo verità del maestro Marcello D’Orta. Napoli gli ha conferito la cittadinanza onoraria nel 2015. Al Teatro San Carlo debuttò con la regia della Carmen di Bizet. Ha prestato la voce da doppiatrice al classico Disney Mulan e ha interpretato i “poteri forti” in Benvenuto Presidente.

“Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva”, diceva della sua vita. Sono diventati un marchio di fabbrica, un cult, i titoli lunghissimi dei suoi film, i suoi occhiali bianchi, la battuta sempre pronta e sferzante. Lina Wertmuller ha segnato la storia del cinema italiano: ha realizzato film agrodolci in cui ha raccontato l’Italia, donne e uomini, l’amore e la società, in termini leggeri e scherzosi, dissacranti e sensuali, e nel profondo come pochi altri.

Il ricordo del nipote Massimo Wertmüller

Massimo Wertmüller, nipote della regista, ha condiviso sui social network un ricordo della zia: “La voglio ricordare così. Che sorride partecipe a una mia, nostra, gioia. L’Italia sta perdendo ultimamente riferimenti fondamentali. Portatori di qualità, del meglio, di intelligenza, di arte e di cultura. E sappiamo quanto oggi servirebbero la cultura, come ancora unico mezzo per crescere, per evolversi, per emanciparsi, e gli intellettuali , come appunto veicolatori di pensiero e cultura. Quanto servirebbero in questo sciagurato paese , il paese delle Belle Arti e del Rinascimento, con così tanti italiani invece distratti, anzi attratti da un centro commerciale , o da una vicenda del Grande Fratello, o dalle parole di un inflencer che non da un capolavoro cinematografico. E difatti quando se ne va un Pasolini, uno Scola, un Monicelli, un Magni, un Proietti, un Falqui, o una Lina, ti dispiace e ti preoccupi di tutto il mondo che se ne va con loro. Tutto il loro mondo che avevano creato, a migliorare la vita di tutti, e che dal giorno dopo si deve cercare di conservare e preservare. Però, però, io oggi non piango la maestra, la genia, che se ne è andata. Soffro, soffrirò con tutti il vuoto incolmabile che lei lascia, ma io piango un fatto mio personale e intimo. Io piango l’ultima rappresentante consanguinea della vita che ho avuto sin qui, l’ultima superstite del mio passato, anche remoto. Io piango i ricordi familiari che mi hanno legato a lei da bambino. Io piango la sorella di mio padre. A lei non piaceva che la chiamassi così, ma io, prima di tutto, piango mia zia”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.