Nel 2022 l’ISTAT ha stimato il valore del pil italiano in 1909 mld di euro, ma immaginate: esiste un posto nel mondo dove ogni anno viene sprecato il denaro equivalente a circa una volta e mezzo questa cifra (2800 mld). Questo posto è esattamente l’Unione Europea.

In Italia siamo i campioni dello spreco dei fondi europei, ma pare che il nostro cattivo esempio abbia contagiato anche l’UE. E non da oggi.
Negli anni ’80 nasce il concetto di “costi della non-Europa” e a inizio 2023 sono state aggiornate, in un report dell’European Parliamentary Research Service, le cifre a cui ammontano le enormi quantità di denaro che potrebbero essere guadagnate e/o risparmiate ogni anno fino al 2032 grazie a migliori spending review e più efficienti istituzioni.
Lo studio non prevede la modifica dei trattati, ma elenca le iniziative (e le potenzialità fino a ora non sfruttate) che le istituzioni europee potrebbero adottare in cinquanta ambiti e che porterebbero benefici economici e sociali in tutta l’Unione.

Le parole a conclusione dell’introduzione allo studio appaiono come un monito: “Se l’UE non perseguirà la via di un’azione collettiva ambiziosa, i benefici individuati potrebbero non concretizzarsi appieno, con un conseguente ‘costo della non-Europa’”. Vengono descritti due possibili approcci: è possibile proseguire semplicemente con le politiche attuali, in questo modo il Pil reale crescerebbe da 15mila mld nel 2022 a circa 17mila mld nel 2032 (+1,3%); l’approccio invece consigliato dallo studio consentirebbe all’Unione di raggiungere 20mila mld di Pil nel 2032 (+2,9%).

Lo spazio non consente di analizzare tutti i capitoli del report, ma per rendere al lettore la situazione riporterò qualche dato. Viene sottolineato, per esempio, come politiche dell’UE più risolute e targhettizzate in tema di stato di diritto e giustizia porterebbero a un guadagno di circa 153,9 mld di euro l’anno. Rispetto alle politiche di difesa viene invece sottolineato che le risorse spese dai paesi UE sono seconde solo a quelle degli Usa, ma nonostante ciò la frammentazione degli eserciti rende impossibile all’Unione far operare le dotazioni congiuntamente. Lo scorso 8 maggio era stato proprio il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, durante la presentazione del rapporto 2022-2032 sui costi della non-Europa, a ricordare che in Bosnia negli anni ’90 i carri armati Nato italiani e tedeschi non erano potuti entrare in contatto, nonostante fossero gli stessi, perché non disponevano degli stessi sistemi di comunicazione. Tajani aveva proseguito ricordando come ciò non porti solo a un minore coordinamento e a una maggiore spesa, ma anche a una minore credibilità dell’Unione Europea.

Queste considerazioni non tengono tra l’altro conto delle frontiere che si aprirebbero se si iniziasse a ragionare seriamente di una riforma in senso federale dell’Europa. Ma vista la penuria di dibattito in questo senso, sarebbe anche solo gradito se dei costi della non-Europa si iniziasse a ragionare seriamente.

Leda Colamartino

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